Mnamon

Antiche scritture del Mediterraneo

Guida critica alle risorse elettroniche

Siriaco

- I sec d. C.-oggi

a cura di: Emiliano Fiori     DOI: 10.25429/sns.it/lettere/mnamon014
Ultimo aggiornamento: 2/2022


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Particolare bilingue dall'iscrizione siro-orientale di Xi'an Fu (VIII secolo, dinastia Tang).


Il siriaco ha le sue prime attestazioni scritte (non letterarie) nel I secolo e.v. Si tratta di una scrittura alfabetica comprendente 22 grafemi, a direzione sinistrorsa. Nel corso del tempo la scrittura del siriaco si è diversificata in una serie di varianti:l'estrangelo, la prima ad avere corso nei manoscritti, avente l'apogeo tra VII e VIII secolo (e, come si vede dall'immagine a fianco, giunta fino in Cina); il serto, a tutt'oggi la grafia siriaca forse più diffusa e derivante dall'antica forma corsiva già in uso nei primi secoli della scrittura; la caldea o nestoriana, (ma oggi definita piuttosto "orientale") variante regionale dall'estrangelo e utilizzata nelle regioni orientali. Ciascuna di queste grafie siriache può essere utilizzata anche per la scrittura dell'arabo: si tratta allora della scrittura Karshuni o Garshuni.


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Indice dei contenuti

Ipotesi sull'origine della scrittura

L'origine della scrittura siriaca è stata a lungo una questione disputata. Le formulazioni più equilibrate dell'attuale stato della ricerca si possono leggere nella fondamentale monografia di Healey e Drijvers 1999 sulle iscrizioni e nel successivo aggiornamento di Healey 2000.

Originariamente si pensò di potere riportare la grafia originaria del siriaco al cosiddetto "palmireno corsivo" delle iscrizioni dell’oasi di Palmira (I sec. a.e.v.-III sec. e.v.), che sembrò in assoluto la scrittura alfabetica più simile alle forme più antiche attestate di siriaco. Già Pirenne 1963 però mise seriamente in dubbio l’esistenza stessa di un "corsivo palmireno". La soluzione che la studiosa aveva dato del problema puntava più a nord della Siria, in direzione delle montagne site tra Turchia e Iran: la grafia siriaca, avente in comune numerosi grafemi anche con le scritture aramaiche attestate nel corso superiore del Tigri, e in minor proporzione con quella palmirena (ma non con un secondo lei inesistente “palmireno corsivo”), sarebbe un composto di entrambe, ma dal carattere spiccatamente originale: essa avrebbe deviato da una linea di discendenza condivisa col palmireno proprio a causa dell'influenza delle scritture dell'alta Mesopotamia. Secondo l'ipotesi formulata quasi venti anni dopo da Joseph Naveh, la questione andrebbe risolta postulando all'origine di entrambe le scritture una scrittura aramaica da lui denominata  "aramaico seleucide" (Naveh 1982, p. 149), che sarebbe stata in uso nel regno seleucidico di Siria. Essa non è attestata per il periodo più alto del regno, ma ve n'è testimonianza, a suo modo di vedere, in quattro iscrizioni del I e II sec. e.v. dove si legge un alfabeto che sembra contenere grafemi ora vicini al siriaco, ora più simili al palmireno propriamente detto: proprio per questo carattere misto si è supposto che potrebbe trattarsi di una fonte comune di entrambe le scritture menzionate.

 


Prime attestazioni di una scrittura propriamente siriaca

Un alfabeto siriaco propriamente detto, non confondibile con altre scritture, fa la sua comparsa nella prima iscrizione siriaca a noi nota, su pietra, proveniente da Birecik sull'Eufrate, 75 km circa a ovest di Edessa, datata al 6 e.v. Del 73 e.v. è la seconda iscrizione pervenuta, originaria di Serrin (sud-ovest di Edessa). I grafemi di queste prime iscrizioni, così come quelli delle altre iscrizioni di data alta, non possono essere identificati tout court con l'estrangelo maturo (cosiddetto da una parola siriaca che significa "rotondo"), ma si conviene che ne rappresentino uno stadio primitivo. In generale, iscrizioni siriache su pietra sono diffuse sull'arco di entrambi i millenni della storia di questa lingua, e sono state rinvenute fino all'Asia centrale e alla Cina.

Interamente concentrati nei primi tre secoli dell'era volgare sono anche diversi mosaici adorni di scritture siriache.

Un grande rilievo per lo studio dell'evoluzione della scrittura hanno poi tre frammenti pergamenacei, scoperti il primo a Dura Europos nel 1933 e gli altri due nella regione del medio corso dell'Eufrate alla fine degli anni Ottanta, e datati rispettivamente al 243, 240 e 242. Come si discuterà nella sezione successiva, questi frammenti sono importanti soprattutto per l'identificazione dell'esistenza di una variante corsiva della grafia siriaca già in uno stadio abbastanza primitivo della scrittura.

Un estrangelo regolare calligrafico, simile a quello che ancora oggi si stampa, compare di fatto con il primo manoscritto siriaco datato, risalente al 411.

 


Una pluralità  di scritture

Sarebbe una semplificazione eccessiva ritenere l'estrangelo la scrittura siriaca originaria, da cui poi sarebbero derivate le altre: all'interno dell'estrangelo stesso si riscontra infatti già dai primordi, per esempio nei frammenti pergamenacei del III secolo, una considerevole varietà: tanto che Moller 1988 ha contestato a ragione che la grafia del primo di tali frammenti, proveniente da Dura Europos e descritto da Torrey 1935 come contenente di fatto una forma primitiva di estrangelo, si possa addirittura definire tale, in quanto caratterizzata già da uno stile altamente corsivo. Studiando l'evoluzione della scrittura nelle prime testimonianze, soprattutto quelle di accompagnamento a mosaici, Drijvers e Healey 1998 concludono che fin dai primordi il siriaco ebbe in effetti una variante corsiva destinata a usi non monumentali, più pratici (e infatti il frammento di Dura Europos è un contratto di vendita). Certamente, come ricorda Healey 2000, p. 63, le differenze nella grafia si devono anche alla varietà dei materiali su cui si scrisse: le iscrizioni in pietra manifestano una certa omogeneità nel presentare un estrangelo già simile a quello che si sarebbe poi ritrovato nel primo manoscritto completo datato, del 411; i mosaici (fino al III secolo) e i frammenti di pergamena invece consentirono per la loro stessa natura una grafia più fluente. I primi manoscritti infine, per lo stesso motivo, presentarono fin dall'inizio varianti corsive pur essendo scritti in quella che si impose come la scrittura siriaca ufficiale, l'estrangelo. La variante corsiva accompagnò dunque sempre la versione quadrata da cui scaturì l'estrangelo, comparendo occasionalemente fin dal manoscrittodel 411, e presentando peraltro sorprendenti affinità in documenti lontani dal punto di vista tanto cronologico quanto materiale: il corsivo di un manoscritto del VI secolo, per esempio, si rivela molto simile a quello di una pergamena del III. E' proprio da questa variante corsiva che si sarebbe sviluppato il serto, una versione formalizzata e calligrafica dell'antica variante corsiva la cui prima evidenza nei manoscritti come scrittura continua risale, secondo Hatch 2002, all'VIII secolo.

Sempre Hatch data la comparsa della grafia orientale o nestoriana all'inizio circa del VII secolo. Tale scrittura è ritenuta comunemente una variante regionale dell'estrangelo, col quale in effetti presenta spiccata affinità.


Una vasta diffusione geografica

Una peculiarità caratteristica della lingua e dunque della scrittura siriache fu la loro vasta espansione su scala asiatica. Nata al principio dell'era volgare come scrittura mesopotamica e mediterranea, entro l'VIII secolo la grafia siriaca era giunta in Cina e in Tibet grazie all'attività missionaria della chiesa siro-orientale, in particolare del patriarca Timoteo I (780-823). Se ne ha testimonianza soprattutto in un grande numero di iscrizioni centro-asiatiche e in un ristretto ma significativo gruppo di documenti cinesi, in particolare la celeberrima stele di Xi'an Fu, dell'VIII secolo. Non va dimenticato, poi, che l'estrangelo condizionò la forma delle scritture di altre lingue, come il sogdiano, idioma medio-iranico settentrionale, originario della valle del fiume Zarafshan (oggi in Uzbekistan e Tajikistan) ma diffuso lungo tutta la via della seta tanto da esserne una vera e propria lingua franca. Tramite la mediazione del sogdiano, l'estrangelo trasmise la sua influenza anche alle scritture di due importanti lingue altaiche: l'uiguro e il mongolo.


Segni diacritici

Un'altra caratteristica primaria nella scrittura del siriaco è la grande varietà dei segni diacritici, che ricoprono le funzioni più svariate, e di vocalizzazione. Per una illustrazione grafica dettagliata del sistema di vocalizzazione, si rimanda alle tabelle dei simboli; si descrive qui di seguito sommariamente la tipologia e l'evoluzione cronologica degli altri diacritici e degli accenti, basandosi soprattutto su Segal 1953. Segal stesso (p. 5) propone di suddividere in quattro categorie questi simboli: 1) il segno di plurale, 2) quello che distingue dolat da rish, 3) il diacritico propriamente detto e 4) l'accento. Su quest'ultimo, necessario alla recitazione liturgica dei testi sacri, non ci soffermeremo, in quanto troppo complesso per adattarsi a un'esposizione introduttiva.

1) e 2) I più antichi segni diacritici sono senz'altro quello del plurale (due punti disposti orizzontalmente al di sopra della linea di scrittura) e quelli necessari alla distinzione della dolat dalla rish.

3) La prima attestazione di punti diacritici dotati di un sistema articolato di significati si trova già nel primo manoscritto datato, del 411. Segal ha proposto di periodizzare lo sviluppo dei diacritici e della vocalizzazione secondo una suddivisione che vede un primo periodo "comune", fino al 600 circa, in cui compaiono già tutti i punti fondamentali per la distinzione di parole dotate di diverso significato ma omografe, fenomeno massicciamente presente in siriaco in caso di scrittura esclusivamente consonantica, come d'altronde in tante altre lingue semitiche. E' proprio questa la funzione originaria dei segni diacritici siriaci.

Il secondo periodo, dal VII al XII secolo, contempla una distinzione tra sistemi diacritici siro-orientali e siro-occidentali. In questo periodo il fenomeno più saliente è senz'altro da individuare nella comparsa nella scrittura orientale di un sistema di punti a scopo esclusivo di vocalizzazione. Un esame dei manoscritti a nostra disposizione mostra che in questo periodo in ambito siro-orientale si produsse gradualmente una evoluzione verso un complesso sistema di punti-vocali, come risultato di una generalizzazione e specializzazione progressiva della funzione distintiva dei punti diacritici propria del primo periodo. Solo dall’XI secolo, poi, è possibile assistere a una sistematizzazione di questa evoluzione da parte dei grammatici, che prendono atto della situazione ormai esistente al loro tempo.

In ambito siro-occidentale, invece, prese piede un sistema differente di vocalizzazione, che è quello oggi più universalmente conosciuto, ossia la vocalizzazione con lettere greche. Già nel VII secolo il poliedrico intellettuale siriaco Giacomo di Edessa aveva proposto, senza successo, un sistema di vocali modellate su quelle greche da scriversi addirittura nel corpo stesso della parola, conferendo così alle vocali lo stesso volume grafico delle consonanti; perché questo esperimento non avesse alcun esito (nessun manoscritto, tranne quelli contenenti la grammatica di Giacomo, testimonia di un’assunzione della sua proposta), non è dato sapere; fatto sta che tuttavia l’intuizione di Giacomo guardava nella direzione giusta, se è vero che un sistema di vocalizzazione mediante l’utilizzo di vocali greche, per quanto meno radicale poiché i segni venivano scritti in corpo minore sopra e sotto la linea, si impose in corso di tempo nel contesto siro-occidentale. Quando esattamente non è chiaro, poiché i primi manoscritti datati che utilizzino questo sistema sono del XIII secolo; di certo, esse furono stabilite prima dell’XI secolo in quanto i primi grammatici siri, in quel secolo, ne trattano come di un sistema già consolidato. Questo sistema tuttavia, comprendente soltanto cinque segni, era meno esaustivo di quello siro-orientale, poiché solo in un caso teneva conto della differente qualità (grado di apertura) delle vocali.

Nel XIII secolo, infine, sono da menzionare le due sintesi grammaticali di Severo bar Shakko e di Bar Ebreo, entrambi intellettuali siro-occidentali, in cui uno spazio considerevole è dedicato specificatamente ai segni diacritici e, cosa più notevole, allo studio comparato dei sistemi orientale e occidentale.


Una digressione: il palmireno

Si è rilevato come le forme più arcaiche di siriaco, nelle iscrizioni, abbiano diversi tratti in comune con la scrittura palmirena. Il palmireno fu un dialetto aramaico occidentale, la cui scrittura è attestata  per i primi tre secoli e.v. non solo nell'eponima oasi siriana di Palmira ma anche, a quanto pare, nelle più lontane regioni dell'ecumene romana. Isolate testimonianze epigrafiche del palmireno sono state infatti ritrovate fino in Inghilterra, così come, meno lontano, in Egitto, Algeria, Italia, Ungheria e Romania. La prima iscrizione ad attestare questa scrittura è databile al 44 a.e.v., l'ultima a non molto prima del 272, anno in cui Palmira fu distrutta dai Romani.

La gran parte delle iscrizioni palmirene sono su pietra, di carattere votivo o funerario, scritte nel cosiddetto Palmireno monumentale, che presenta affinità  soprattutto con l'ebraico quadrato. Ciò che maggiormente ci interessa però è la variante che alcuni hanno chiamato "corsiva" (Chabot 1922), rintracciabile in alcuni graffiti murali ritrovati a Dura Europos, a Palmira e nella regione a nord-ovest di Palmira: tale variante mostra in effetti maggiore affinità con il siriaco. Essa, peraltro, è quella utilizzata nelle iscrizioni ritrovate nelle terre più lontane da Palmira. Si tratta di una variante che appare tardi, tra il II e il III secolo; si è supposto che in origine essa fosse utilizzata su materiali deperibili come il papiro e che dunque non abbiano potuto giungercene testimonianze più antiche. Di fatto Pirenne 1963, p. 118-119, contesta che si tratti effettivamente di un "corsivo", in quanto lo si trova anche su monumenti, e che non si può nemmeno definire propriamente "palmireno", poiché la sua peculiarità deriva piuttosto dal fatto che esso è contaminato da elementi allotri.

Si sono constatati esempi di scrittura della quale non si può sensatamente decidere se si tratti di palmireno o di siriaco. Esempi di questo fenomeno sono le brevi iscrizioni di Amassamses da Deir Ya'qub presso Edessa (II secolo e.v.) e quella sul sarcofago della "regina Sadan" (forse una regina dell'Adiabene, I secolo e.v.); a queste si aggiungono, più lunghe, un'iscrizione di Dura Europos del 32 a.e.v. e una quarta scoperta a el-Mal nella Siria meridionale, del 7-6 a.e.v. Si è già visto come Pirenne 1963 e Naveh 1982 interpretassero questi dati: il secondo denominando "Aramaico seleucide" questa scrittura ibrida, e individuandovi un antenato comune a siriaco e palmireno corsivo, utilizzato dagli Aramei del regno seleucide di Siria; Naveh dunque accettava peraltro l'esistenza della variante corsiva del palmireno. Pirenne invece, come si è detto, ne contestava l'esistenza, sostenendo che già quest'ultima fosse una scrittura ibrida, impostava il problema diversamente, constatando che questo composto da lei chiamato "siro-palmireno" e il siriaco dovevano avere un antenato comune, piuttosto che discendere l'uno dall'altro. La studiosa, ricordiamo, motivava poi la divergenza del siriaco da questa comune origine con il forte influsso sulla scrittura della lingua di Edessa delle scritture aventi corso lungo il tratto superiore del Tigri, come quelle delle iscrizioni di Assur, di Hatra e del Tur 'Abdin (II secolo a.e.v.-II e.v.). A queste scritture il siriaco risulta in effetti ancora più strettamente imparentato di quanto non lo sia col palmireno.