Mnamon

Antiche scritture del Mediterraneo

Guida critica alle risorse elettroniche

Aramaico

- X sec. a.C. - oggi

a cura di: Marco Moriggi     DOI: 10.25429/sns.it/lettere/mnamon020
Ultimo aggiornamento: 3/2022


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Dedica nabatea alla dea di Haiyan (Petra, I sec. a.C.)


La scrittura aramaica nasce per notare l’omonima lingua all’inizio del I millennio a.C. Essa appartiene alla tipologia di scrittura nota come “alfabeto consonantico” (abjad), che prevede la notazione dei soli fonemi consonantici della lingua attraverso l’uso di grafemi monoconsonantici. Nell’ambito della storia della scrittura aramaica si trovano numerosi esempi di un utilizzo, ora occasionale ora sistematico, di alcuni dei grafemi consonantici per la registrazione di segni vocalici (matres lectionis). Nel corso del I millennio d.C. la scrittura aramaica si arricchisce di segni sopra- o sottosegmentali, per una più precisa indicazione della struttura fonematica della parola, che include i fonemi vocalici.


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Indice dei contenuti

La scrittura aramaica dalle origini all'età achemenide (X-IV sec. a.C.)

Le prime testimonianze relative alla lingua aramaica (X-IX sec. a.C.) provengono dall’area siro-anatolica e sono redatte in una scrittura che manifesta strettissime adesioni al modello della scrittura fenicia. Per questa scrittura si è in effetti proposta la definizione di “fenicio-aramaica” (“Phoenician-Aramaic”, Naveh). L’adozione dell’alfabeto consonantico fenicio da parte delle popolazioni arameofone è evidente proprio nelle iscrizioni più antiche, in cui la scrittura fenicia, che prevede la notazione di 22 fonemi consonantici, viene adattata alla struttura fonematica dell’aramaico, che all’epoca possiede ancora più di 22 fonemi consonantici. In alcuni casi un singolo grafema fenicio viene quindi utilizzato per rappresentare graficamente 2 diversi fonemi aramaici. Secondo un’altra ipotesi, la scrittura aramaica sarebbe derivata, direttamente e parallelamente alla scrittura fenicia, da prototipi cananaici. Le sue fasi più antiche non sarebbero documentate per via della prevalenza, nell’uso ufficiale, della più prestigiosa e diffusa scrittura fenicia.

A partire dalla metà dell’VIII secolo a.C. il ductus e i singoli segni delle iscrizioni aramaiche presentano qualche modifica rispetto al modello fenicio. Questo processo di differenziazione si può spiegare con lo sviluppo di un’attività scribale autonoma nei regni aramaici indipendenti che fioriscono in questo periodo nella regione siro-anatolica. Gli studi di Naveh dimostrano che, da questo momento e fino al IV secolo a.C., la scrittura aramaica si può distinguere in scrittura “monumentale”, tipica dei supporti lapidei e delle iscrizioni di carattere ufficiale, e scrittura “corsiva”, utilizzata su supporti di vario genere, dall’ostracon al papiro, e concepita tanto per scritti ufficiali quanto per testi letterari, documenti amministrativi e commerciali, ecc.

Tra la metà dell’VIII secolo e la metà del VI secolo a.C. le popolazioni di lingua aramaica, originariamente in gran parte stanziate nei territori di piccoli regni autonomi tra Anatolia sud-orientale e tavolato siro-arabo, vengono sottomesse prima dall’impero neo-assiro (744-615 a.C.), poi da quello neo-babilonese, che dura fin circa alla metà del VI secolo a.C. A queste due compagini politiche segue l’instaurazione dell’egemonia persiana, ad opera degli Achemenidi (circa 550-330 a.C.). L’impero achemenide unisce per la prima volta sotto un unico dominio i vasti territori che vanno dall’Asia Centrale (fino all’odierno Afghanistan) all’Egitto, dall’Anatolia all’Arabia settentrionale.

In questo contesto l’aramaico, che è già una delle lingue ufficiali della cancelleria neo-babilonese, si diffonde in Mesopotamia, Siria-Palestina e oltre, divenendo la lingua amministrativa di tutto l’impero persiano. Riflessi nella scrittura di queste dinamiche sono:

- sviluppo della scrittura corsiva, adatta a supporti di ogni tipo, e sua rapida diffusione attraverso l’orbe achemenide, anche in territori dove l’aramaico non è la lingua delle popolazioni autoctone;

- nuova definizione della scrittura monumentale secondo tendenze dettate dalla scrittura corsiva (fenomeno già in parte riscontrato in età anteriore).

Un’eccezionale mole di materiale ci testimonia l’uso della scrittura aramaica, soprattutto corsiva, nel V e IV secolo a.C. Il corsivo del V secolo è particolarmente ben documentato nel materiale papiraceo proveniente dall’Egitto. Le esigenze della burocrazia centralizzata achemenide esercitano sul corsivo stesso una forte azione di uniformazione tipologica delle lettere, con la conseguenza che il corsivo appare regolare e ben definito nella documentazione, anche in quella prodotta a grande distanza dai centri del potere.


La scrittura aramaica dall'età ellenistica alla tarda antichità  (III sec. a.C. - VII sec. d.C.)

Con il tracollo dell’impero achemenide seguito alle conquiste di Alessandro Magno (morto nel 323 a.C.), la cultura greca penetra profondamente nel Vicino Oriente. In alcune regioni, come l’Egitto, l’aramaico cessa quasi subito di essere utilizzato per i documenti ufficiali, dove è sostituito dal greco. Nella regione siriana e in Mesopotamia, esso conserva invece il ruolo di lingua d’uso, mentre il greco gli si affianca e arriva a sostituirlo negli strati della società più a diretto contatto con la nuova cultura. Nella scrittura aramaica hanno luogo nel frattempo due importanti evoluzioni:

- la scrittura monumentale, sempre più soggetta all’influenza delle forme di quella corsiva, non riesce a mantenere la propria autonomia e scompare (secondo Naveh entro la fine del IV sec. a.C.; secondo Garbini, almeno in Palestina, solo nel II sec. a.C.);

- la scrittura corsiva, ancora vincolata ai modelli del periodo achemenide, dà luogo a sviluppi sempre più autonomi a seconda delle zone geografiche e in base alle scelte delle culture che la utilizzano.

Venuto meno l’influsso dei modelli di età persiana, dal corsivo deriveranno le successive scritture aramaiche di età ellenistica e romana.

Il processo di sviluppo delle scritture aramaiche post-achemenidi si svolge più velocemente nelle regioni siriana e mesopotamica, mentre segna il passo in regioni remote dell’Asia Centrale o dell’Iran, dove perdura il prestigio del corsivo di età persiana.

Nel periodo che va dal III al I sec. a.C. le testimonianze di scrittura aramaica sono molto più esigue rispetto al periodo precedente.

In base ad una ripartizione proposta da Naveh, si è soliti dividere le scritture aramaiche di età post-achemenide in due gruppi: scritture aramaiche occidentali e scritture aramaiche orientali.

Le scritture aramaiche occidentali sono rappresentate principalmente dalla scrittura aramaica  quadrata (si veda la voce “Ebraico”), usata per trascrivere il testo biblico già alla fine del III sec. a.C. e dalla scrittura nabatea. Quest’ultima è attestata da circa 4000 iscrizioni di varia natura e lunghezza, nonché da un esiguo ma non meno significativo gruppo di manoscritti. La scrittura nabatea è in uso da circa il I sec. a.C. alla metà del IV sec. d.C. e lega la sua storia alle fortune dell’omonimo Stato, che, retto da una monarchia e centrato sui nodi urbani di Petra e Bostra, è assorbito dall’imperatore Traiano nell’orbe romano nel 106 d.C. A causa del suo andamento corsivo e della sua forte tendenza alle legature, la scrittura nabatea è indicata da buona parte degli studiosi come il principale prototipo della scrittura araba.

Le scritture aramaiche orientali possono a loro volta essere suddivise in tre sottoinsiemi: scrittura palmireno-siriaca (si veda la voce “Siriaco”, che, oltre che occuparsi dell’omonima scrittura, contiene anche una digressione sulla scrittura palmirena), scritture nord-mesopotamiche, scritture sud-mesopotamiche.

Nel gruppo delle scritture aramaiche nord-mesopotamiche ha netta rilevanza la scrittura hatrena, attestata nelle iscrizioni del sito di Hatra e della regione circostante (Assur, Qabr Abu Nayf, Gali Zerdak, ecc.), intorno all’alto corso del Tigri. La città di Hatra rappresenta uno dei centri più importanti della regione tra il I e il III sec. d.C., sia perché ospita un famoso santuario del dio Sole (Shmesh), sia perché costituisce un baluardo militare inespugnabile compreso nell’orbita dell’impero partico. La scrittura hatrena non presenta evidenti tendenze alla legatura dei segni (per ora sono stati riscontrati soltanto casi sporadici) e ne mantiene costanti forme e dimensioni nell’arco del periodo di attestazione. Nonostante sia Hatra la fonte del maggior numero di documenti relativi a questa scrittura, è possibile che l’area di origine e sviluppo della scrittura hatrena sia da collocare più ad oriente, nella regione dell’Adiabene, sede di un importante regno con capitale Arbela nei primi due secoli d.C. Il prestigio internazionale della scrittura hatrena è testimoniato dal rinvenimento di iscrizioni riconducibili al suo modello nei siti di Armazi (Georgia) e Garni (Armenia).

Oltre alla scrittura aramaica quadrata, utilizzata soprattutto presso le comunità ebraiche della regione babilonese, nell’area meridionale della Mesopotamia e nelle regioni montagnose dell’Iran sud-occidentale si sviluppano scritture aramaiche quali la scrittura delle legende monetali dei re della Caracene (Mesene) del III sec. d.C., la scrittura dei rilievi rupestri dell’Elimaide (II sec. d.C.) e la scrittura mandaica. La scrittura mandaica è una scrittura aramaica documentata soprattutto dai testi religiosi della setta gnostica dei mandei, sopravvissuta in loco e in vari Paesi di emigrazione fino ai nostri giorni. I più antichi testi mandaici risalgono al V sec. d.C. e sono costituiti da iscrizioni e testi dipinti su coppe d’argilla. La produzione manoscritta in mandaico è documentata a partire dal XVI secolo. La scrittura mandaica è caratterizzata da segni corsivi e ha sviluppato un sistema organico di legature. Alcuni segni consonantici sono inoltre utilizzati in maniera sistematica per indicare le vocali (un’estensione del principio delle matres lectionis, da sempre impiegato nella scrittura aramaica).

Una testimonianza peculiare della fortuna delle diverse scritture aramaiche nella Mesopotamia dei secoli V-VII d.C. è costituita dalle coppe magiche mesopotamiche, ciotole di argilla recanti esorcismi e incantesimi apotropaici e assai diffuse nella pratica religiosa delle comunità ebraiche, cristiane e di altre fedi. Le coppe magiche mesopotamiche ci forniscono un ricco quadro delle evoluzioni locali della scrittura aramaica quadrata, della scrittura aramaica mandaica e di almeno due tipi di scrittura aramaica siriaca (estrangela e proto-manichea).


La scrittura aramaica e le lingue dell'Iran e dell'Asia Centrale

Durante il periodo achemenide (550-330 a.C. circa), l’aramaico diviene lingua dell’amministrazione imperiale persiana e, come tale, è impiegato estesamente e a tutti i livelli anche nelle province più remote, generando una diffusione ampia e capillare di documenti in scrittura aramaica. Questa diffusione è tra le cause principali dell’adozione dell’alfabeto consonantico aramaico da parte di genti che parlavano altre lingue, in primis lingue iraniche.

Sebbene questo fenomeno debba essersi verificato già sotto l’impero achemenide, i primi documenti in una lingua iranica (il partico) scritti in grafie derivate da quella dell’aramaico imperiale risalgono all’età arsacide (si veda ad esempio l’iscrizione bilingue greco-partica dell’Eracle di Seleucia, II sec. d.C.). La fortuna della scrittura aramaica in ambito iranico è testimoniata dal fatto che, dai prototipi della scrittura aramaica di età achemenide, derivano, oltre alla scrittura partica, le scritture medio-persiana, avestica e sogdiana.

Da prototipi mesopotamici della scrittura aramaica siriaca di tipo proto-manicheo deriva inoltre la serie di scritture in cui, tra IX e X secolo d.C., vengono redatti i testi manichei dell’Asia Centrale (in lingua medio-persiana, partica, sogdiana e turca antica), mentre dal modello della scrittura aramaica siriaca orientale (o “nestoriana”) prende le mosse l’alfabeto dei cristiani della Sogdiana.

Il principio che governa l’adozione della scrittura aramaica in ambito linguistico iranico è quello eterografico. In base a quest’ultimo, lo scriba indica nel testo una parola aramaica scritta in caratteri aramaici che, al momento della lettura, viene letta in idioma iranico.

Con il venir meno dell’aramaico nell’uso ufficiale e nella prassi linguistica, vocaboli iranici cominciano a popolare sempre più stabilmente i testi, ma la pratica eterografica si mantiene in uso ancora per lungo tempo. Tuttavia le parole aramaiche tendono a trasformarsi in ideogrammi cui, in età sasanide (dopo il primo quarto del III sec. d.C.), si possono anche aggiungere elementi di morfologia iranica in scrittura fonetica.

Per tramite delle culture iraniche varie forme di scrittura aramaica si trasmettono alle popolazioni di cultura turca dell’Asia Centrale (VI-VIII sec. d.C.). Il turco antico degli Uiguri e di altre genti turche è registrato negli scritti manichei cui si è fatto cenno grazie alla scrittura manichea, derivata in ultima analisi dai prototipi aramaici siriaci di Mesopotamia, in specie da quelli documentati su alcune coppe magiche con testo siriaco.

Una variante verticale della scrittura sogdiana, a sua volta riconducibile a prototipi di scrittura aramaica d’età achemenide, è introdotta alla corte di Gengis Khan (XIII sec.) per scrivere il medio mongolo. Su questo stesso modello si forma anche la scrittura utilizzata per notare la lingua mancese.