Esempi di scrittura
Olla di Gabi
A proposito della diffusione della scrittura nel Lazio, pur se non si tratta della latina, merita di essere citato un documento di notevole interesse e di relativamente recente acquisizione: il graffito scoperto su un’olla da Gabii (città del Lazio a est di Roma, lungo la via prenestina) e datato, sulla base del contesto archeologico, al primo quarto dell’ottavo secolo a.C. Viene comunemente letto “EULIN” (in questo senso potrebbe essere riferito all'abilità nella tessitura, D. Ridgeway), vi sono tuttavia letture differenti quali EUOIN (invocazione dionisiaca, E. Peruzzi) ovvero la retrograda e latina NI LUE (G. Colonna). Se fosse in lingua greca, ne costituirebbe la più antica testimonianza e mostrerebbe come la scrittura greca fosse presente in area latina anche indipendentemente dall’influenza etrusca.
Fibula prenestina
Manios med fhe fhaked Numasioi
trad.: Manio mi fece per Numerio
Il pezzo potrebbe essere tra le più antiche attestazioni della scrittura latina. Di fine fattura ed eccellente conservazione, si tratta di una spilla (fibula) in oro con iscrizione dell'artigiano che la realizzò (Manio) e del destinatario dell'oggetto (Numerio). Questo tipo di manufatto viene definito oggetto parlante dal momento che quanto vi è scritto, si intende pronunciato dall'oggetto stesso. La scritta corre retrograda secondo i caratteri dell'alfabeto arcaico, simili come si è visto a quelli greci. Vi sono stati dubbi tuttavia se il pezzo, o anche solo la scritta, siano autentici. In particolare M. Guarducci, partendo dalle oscure circostanze del ritrovamento, scrisse una memoria per denunciare la falsità dell'iscrizione, identificando in W. Helbig, il celebre archeologo, figura eminente dell'Istituto archeologico tedesco alla fine dell'Ottocento e personaggio in vista nella Roma del tempo. La questione non ha trovato una soluzione accettata unanimamente.
Lamina Lavinio
Castorei Podlouqueique qurois
trad.: a Castore e Polluce, kouroi
L’iscrizione rinvenuta a Lavinio presso l’altare VII durante gli scavi condotti da F. Castagnoli negli anni Sessanta è iscritta su una lamina di piombo che poi doveva essere affissa, come testimoniano i cinque fori presenti. Si tratta di una dedica ai Dioscuri definiti qui con termine greco Kouroi (= giovani). La scrittura è latina ed corre da destra verso sinistra e se ne possono osservare alcune peculiarità che testimoniano la derivazione greca e la mediazione etrusca. Si osservi la “L” uguale al lambda calcidese, la “C” uguale al gamma calcidese, ma con il suono che aveva assunto in Etruria (/k/). La “R” e la “P” si distinguono per la chiusura o meno dell’occhiello. Ulteriore spia di arcaicità è la presenza del koppa (kurois, Podlouqueique).
Lamina (disegno)
Lapis satricanus
Popliosio Val
s Mamartei
(completa:
[...]iei steterai Popliosio Valesiosio
suodales Mamartei
trad.: [...] i compagni di Publio Valerio donarono a Marte)
L'iscrizione, su pietra locale, viene datata all'inizio del V secolo. E' una dedica a Marte da parte di un Publio Valerio e dei suoi "sodales". Al momento della sua scoperta, destò grande scalpore, dal momento che potrebbe confermare l'esistenza storica di un noto personaggio della Roma del tempo: P. Valerio Poplicola. Uomo di spicco della prima Roma repubblicana, secondo la narrazione di Livio e di Dionigi di Alicarnasso, fece approvare delle leggi atte a proteggere il popolo (in particolare i Valeri sono associati alla lex de provocatione, secondo cui tutti i cittadini avevano diritto di ricorrere, nelle questioni penali, al giudizio del popolo se la sentenza era ritenuta iniqua), dopo che era stato accusato di affectatio regni a seguito del tentativo di costruire la propria abitazione sul Palatino.
La scrittura mostra una evoluzione rispetto a quella osservata nei casi precedenti: la M si normalizza progressivamente verso la forma che acquisterà in seguito l'asta mediana della A diviene orizzontale, ed i tratti corti della E sono meno inclinati. La R ha ancora un tratto obliquo molto ridotto, mentre la P mantiene l'occhiello non chiuso.
Elogium Duili
Trascrizione delle prime 7 linee:
[Consol Secest]ano[s socios p(opli) R(omani) Cartaciniensiom]
[opsidione]d exemet lecione[sque Cartaciniensis omnis]
[m]aximosque macistr[a]tos l[uci palam post dies]
[n]ovem castreis exfociont Macel[amque opidom]
[p]ucnandod cepet enque eodem mac[istratud bene]
[r]em navebos marid consol primos c[eset copiasque]
[c]lasesque navales primos ornavet pa[ravetque]
Brevi notazioni:
La celebre iscrizione contenente un elogium per il console Gaio Duilio, era posta alla base della colonna rostrata eretta in suo onore dopo la vittoria nella battaglia delle Egadi (241 a.C.) che segnò la fine della prima guerra punica. Oltre alla grande importanza che il pezzo riveste da un punto di vista storico, esso offre alcuni spunti anche dal punto di vista più materiale della scrittura. Si noti infatti l’uso costante di lettere montanti, che sommato all’armonico alternarsi dei moduli delle lettere indica chiaramente una datazione imperiale. Al contrario il linguaggio è arcaico e rispecchia il testo come venne inciso la prima volta. È chiaro infatti che si tratta qui di un rifacimento del monumento, o almeno della base iscritta. Alcune delle caratteristiche in esso presenti ebbero grande diffusione nella scrittura monumentale di età augustea. I principali elementi che si possono evidenziare dal punto di vista grafico sono: il trionfo del ricorso ad un sistema elaborato di linee guida a binario con interlinea e linee orizzontali; l’adozione quasi generalizzata della disposizione speculare delle righe rispetto ad un asse mediano verticale; l’uso estensivo e consapevole della gradazione del corpo delle lettere nelle singole righe secondo l’importanza delle varie parti dell’iscrizione; l’uso di lettere montanti, nane e di apices [da S. Panciera, L’epigrafia latina nel passaggio dalla Repubblica al Principato, in id., Epigrafi, epigrafia, epigrafisti, I, Roma 2006, 83-101, 98]).
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CIL 4, 9928:
Cn(aeum) Helvium
Sabinum aed(ilem)
d(ignum) r(ei) p(ublicae) o(ro) v(os) f(aciatis)
La scritta dipinta da Pompei, pubblicità di un candidato alla carica di edile, mostra un buon esempio di capitale rustica (così detta in un teorico confronto con la capitale quadrata o elegante). Ricorda la capitale monumentale e ne mantiene la bilinearità, ma con una maggiore alternanza di filetti e di pieni. La sua realizzazione su papiro/pergamena è detta libraria, perchè utilizzata prevalentemente per opere letterarie. La capitale rustica rimane immutata nei suoi elementi essenziali per circa seicento anni.
Tavoletta pompeiana
trascrizione:
HS n. ((ι)) ∞ XXXVIIII
quae pecunia in
stipulatum L. Caeci
li Iucundi venit
ob auctionem Umbricae Ianuariae
Questa tavoletta cerata da Pompei è una delle ricevute di pagamento dell'archivio di Caecilius Iucundus e mostra un bell'esempio di scrittura usuale (equivalente al francese “écriture commune”) si distingue invece dalla monumentale per la tendenza corsiva (in questa realizzazione viene anche definita corsiva antica o capitale). Questa definizione generale raccoglie alcuni sottogruppi prima in voga ma che, privilegiando solo un aspetto della realizzazione scrittoria, non rappresentavano esatte definizioni scientifiche (ad esempio la "attuaria"). Nelle tavolette cerate i segni vengono scomposti in linee parallele e risultano fortemente stilizzati (ad es. E= ||; F= |').
Corsiva epigrafica
Trascrizione:
L. Seius Pilero(s)
Vener(ia) L(uci) liberta
Seia (h)eres v(iva)
emit duas
ol(l)as sib(i) et patr(ono)
Più raramente la scrittura usuale compare su pietra, tuttavia ve ne sono alcuni esempi, come questa iscrizione sepolcrale, CIL VI, 26115
PHawara 24
Questo famoso papiro con esercizi di scrittura (il verso è di Virgilio Aen. 2,601: non tibi Tyndaridis facies invisa Lacaenae) presenta un bell'esempio della così detta scrittura usuale, chiamata anche capitale corsiva. In questa realizzazione scrittoria, diffusa in particolar modo in papiri sia letterari che documentari, non tutte le lettere vengono tracciate con linee parallele come nella scrittura delle tavolette, ma alcune (specialmente B, D, E, H, Q e R) assumono una forma corsiveggiante.
Fragmentum de bellis Macedonicis
Il famoso frammento de bellis Macedonicis, datato all'inizio del II sec. d.C. è un documento di grande interesse e rarità. Si tratta infatti delle prime realizzazioni di una scrittura minuscola. Di seguito si riporta la descrizione della scrittura di questo documento data da un grande paleografo quale B. Bischoff. “Specimen di una scrittura pienamente sviluppata e formata, eseguita con un angolo attorno ai 50°. Fra le sue lettere (manca la B), la A ridotta, la D panciuta, la h ad angolo, la M formata da tre tratti e la Q con testa stretta e cauda lunga e obliqua traggono chiara origine dal consolidamento di analoghe forme corsive […]. La E (ancora stretta), la L e la P sono un po’ arrotondate alla base; la forma della R invece, con la lunga sta verticale e la sezione destra serrata al primo tratto, come nella capitale, non è mutuata dalla corsiva, bensì è usata volutamente per evitare possibili scambi con altre lettere” da: B. Bischoff, Paleografia latina, Padova 1992, p. 94
PChesterBetty
L'onciale, di cui l'immagine mostra un alfabetario (PChesterBetty 1449), è chiamata così perché il Mabillon riprese l’espressione di S. Gerolamo “unciales litterae”, fraintendendola però dal momento che in Gerolamo era riferita alle scritture romane maiuscole. Si discute sul luogo in cui questa scrittura ebbe origine (in Italia? In Africa?) e le più antiche attestazioni sono del quarto secolo. Può essere considerata una maiuscola, dal momento che le lettere sono iscrivibili tra due linee parallele. L’angolo di scrittura è intorno ai 50°. È stato suggerito che alcune forme vengano dal modello della maiuscola biblica greca. La lettera forse più caratteristica è la M, detta a doppio arco, anche se nelle prime fasi l’asta iniziale era perfettamente dritta e non curva. La B riprende forse il modello capitale, mentre la Q ha il tratto verticale dritto, la E è arrotondata.
Livio vaticano
non inrita modo fu
tura libertas multo foe
dior quam fuisset ante
servitutis redeuntib(us)
in priorum dominoru(m)
potestatem ante oculos
trad.: non solo la libertà sarebbe stata molto peggiore di quanto fosse stata la schiavitù quando fossero tornati al servizio dei precedenti padroni [Liv. 34,36,6, NB la trad. si basa sulla correzione servitus per servitutis e l'aggiunta di un sed tra multo e foedior]
Il codice Vaticano Latino 10696 offre un bellissimo esempio di onciale i cui tratti salienti sono stati descritti nella scheda precedente.
POxy 668
Nel particolare preso da POxy 668, epitome di Livio (qui si legge: magnitudinem/Lusitani vastat), si osserva un esempio di scrittura semionciale. Questa è una scrittura minuscola, realizzata sia dritta che inclinata a destra. Si osservino questi tratti caratteristici (da B. Bischoff, Paleografia Latina, 102): il sistema è quadrilineare, la parte sinistra della A è ad angolo acuto, la D finisce con l’asta sul rigo, la L termina spesso sotto il rigo; il tratto superiore della R è piegato a scalino; la S è maiuscola; l’asta della T è dritta; la B ha la pancia a destra. L’angolo di scrittura, diversamente dalla onciale, raggiunge la massima ampiezza nei tratti verticali, in corrispondenza con quanto avviene nella onciale biblica greca.
Sulpicio Severo
Il particolare è da un rescritto di Sulpicio Severo copiato in semionciale nuova da Ursicino, lettore della chiesa veronese (CLA 4, 494, 517 d.C.). La scrittura è una semionciale nuova che deriva dalla corsiva nuova evoluta. A partire dal IV secolo divenne scrittura libraria e proseguì fino all’alto Medioevo. Le lettere sono staccate. Rispetto alla semionciale antica, la A è più rotonda, la G ha un tratto superiore perfettamente orizzontale (si veda la prima riga, terza lettera da dx. nella immagine seguente) e l’inferiore curvato ad S, la T ha l’asta verticale curva, la N segue il modello capitale.
Rescritto imperiale
Questo rescritto imperiale del V sec. d.C., mostra l'evoluzione della corsiva. La trasformazione consiste nel passaggio dalla corsiva capitale (o antica) alla minuscola (o nuova), all’incirca nel III sec. d.C. La differenza può essere individuata nella progressiva perdita di un reticolo bilineare in cui iscrivere le lettere a favore di uno quadrilineare Nella corsiva nuova abbondano le legature, mentre sono pochi i contrasti del tratteggio per l’uso di calamo a punta dura. Questa scrittura venne utilizzata in particolar modo nelle cancellerie imperiali, da cui ad esempio venne prodotto il documento in immagine.
Cippo di Acquoria
Fonte: Fonte
Il blocco tufaceo su cui è incisa l'iscrizione è stato rinvenuto nei pressi del ponte dell'Acquoria a Tivoli, da cui la denominazione di cippo dell'Acquoria. L'iscrizione, databile all'incirca al VI secolo (alcune proposte la fanno scendere al V), è di interpretazione controversa (A. Degrassi ILLRP 5 dubitava se si trattasse di latino o sabino) . Sembra appurato tuttavia che le lettere corrano in forma di spirale a partire dalla parte destra, (in verticale le prime quattro lettere e poi a seguire la prima linea in senso retrogrado).
Ecco alcune tra le proposte di lettura:
1) hon/-edmitatka-iọṣ[a]k/oniosϕetiosd[o]ṇoṃdr-ẹipe/d (E. Vetter, Handbuch der italische Dialekte, I, Heidelberg 1953, 357)
2) hoimedmitatkauios[- -]oniosqetiosd[o]ṇọm - - fileod(da ultimo G. Meiser, Historische Laut- und Formenlehre der lateinischen Sprache, Darmstadt 1998, 4)
3) HOI|M|ED|MITAT|KAVIO|S|///|ONIOS|QETIOS|D///NO|M|PRO|FILEO|D (M. Hartmann, Die frühlateinischen Inschriften und ihre Datierung, München 2005, 132)
In base alle ipotesi 2 e 3 si tratterebbe di un'offerta da parte di un Caius a favore del figlio.
A livello paleografico si noti la E con i tre tratti quasi orizzontali, così come per il trattino della A. La S é a quattro tratti, piuttosto aperta.