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Antiche scritture del Mediterraneo

Guida critica alle risorse elettroniche

Umbro

- IV a. C. - prima metà  del I a. C.

a cura di: Alessia Ventriglia


  • Presentazione
  • Indice dei contenuti
  • Approfondimenti


Tavole di Gubbio - tav. n.5b


Le scritture umbre, che, sulla base dei rinvenimenti attuali, sono documentate tra il IV secolo a. C. e la prima metà del I a. C., sono le grafie utilizzate anticamente nell’area geografica dell’Umbria antica, estendendosi sia ad est che ad ovest del Tevere, fino alla Sabina esclusa. Sebbene non manchino altre attestazioni cosiddette minori, esse sono note, per lo più, grazie alle Tavole iguvine, ovvero tavole bronzee rinvenute nei pressi di Gubbio, che, oltre a rappresentare la testimonianza più lunga ed articolata che abbiamo di questa scrittura, hanno anche la peculiarità di essere state scritte in lingua umbra, ma con due alfabeti differenti: uno a base etrusca ed un altro a base latina. Dall’analisi di tali reperti possiamo, dunque, ricavare che il numero di segni impiegati per veicolare l’umbro varia da un minimo di 20 della grafia a base latina ad un massimo di 21 della grafia encoria a base etrusca.


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Indice dei contenuti

Definizione di umbro e tipo di scrittura

All’interno della penisola italiana, l’umbro ha, accanto all’osco, la peculiarità di esprimere la propria lingua servendosi di due diversi sistemi grafici che sono, rispettivamente:

  1. 1) di derivazione etrusca;
  2. 2) di derivazione latina.

Questa soluzione insolita non rappresenta, però, un unicum fra le lingue dell’Italia antica. Essa, infatti, trova, come si è detto, un valido confronto con l’osco (lingua a cui l’umbro, sebbene impropriamente in quanto non rende conto delle differenze, è spesso abbinata nell’ormai poco usata etichetta di “osco-umbro” per indicare un gruppo di lingue dell’Italia antica che hanno notevoli affinità tra di loro e di cui le maggiori rappresentanti sono proprio la lingua osca e quella umbra) che, però, a differenza dell’umbro, viene scritto impiegando ben tre diverse basi grafiche derivate, rispettivamente, dagli alfabeti etrusco, greco e latino e non due come, invece, accade per l’umbro in cui manca la grafia derivata dall’alfabeto greco. Inoltre, la grafia umbra ha in comune con l’osco anche il fatto di aver derivato l’alfabeto encorio da quello etrusco.

Tuttavia, le affinità tra le due lingue, che, pur appartenendo ad un medesimo gruppo linguistico, sono distinte e tra le relative scritture terminano qui in quanto la grafia umbra:

  1. 1) si trova attestata in un’area geografica completamente diversa da quella in cui è attestato l’osco;
  2. 2) riadatta e modifica l’alfabeto etrusco in completa autonomia rispetto all’osco, al punto da creare soluzioni grafiche completamente diverse ed innovative;
  3. 3) non sembra essere un fenomeno di koinè;
  4. 4) introduce nuovi segni al pari dell’osco, ma, mentre l’osco si avvale di nuovi segni per esprimere suoni vocalici, l’umbro si avvale di nuovi segni per esprimere suoni consonantici;
  5. 5) impiega l’alfabeto a base latina forse già dalla prima metà del II a. C., ovvero in un periodo lievemente antecedente a quello in cui la lingua osca decide di avvalersi anche del sistema grafico a base latina, e sembra, ma qui il problema è ancora aperto, che l’alfabeto latino possa essere stato usato addirittura in co-occorrenza con quello a base etrusca come sembrerebbe dimostrare la tavola n. 5 delle cosiddette Tavole iguvine che, su una delle due facciate, presenta un testo redatto in grafia etrusca ed un testo redatto in grafia latina i cui contenuti sono in connessione tra loro.   

 


Area di diffusione dei sistemi di scrittura dell'umbro

Per quanto riguarda le aree di diffusione dei due sistemi grafici dell’umbro va detto che, a differenza dell’osco che, molto probabilmente, a giudicare dalle attestazioni sporadiche ed a macchia di leopardo in territori molto distanti fra loro, impiega il sistema grafico a base latina con finalità prettamente politiche, nell’umbro non esiste una diversità né temporale né areale nella distribuzione delle due grafie (si pensi, ad esempio, ad Assisi da cui provengono testi databili allo stesso periodo e redatti tanto in grafia a base etrusca quanto in grafia a base latina, o a Gubbio in cui le due grafie coesistono addirittura nel medesimo documento) e, pertanto, sia la scrittura a base etrusca che quella a base latina sono attestate in tutta l’Umbria antica, estendendosi sia ad est che ad ovest del Tevere, fino alla Sabina (corrispondente all’attuale provincia di Rieti e a piccole parti delle attuali province di Viterbo e di Roma) esclusa. Tale differenza con l’osco, però, potrebbe non essere un elemento distintivo rilevante se si considera non solo che l’Umbria antica ha un’estensione territoriale notevolmente più esigua rispetto al territorio in cui compare la grafia osca, ma anche che la costruzione della via Flaminia (voluta dal console C. Flaminio nel 232 a. C., ma, secondo alcune fonti, tra cui Strabone, iniziata nel 223 a. C. e terminata, presumibilmente, nel 219 a. C.), che, com’è noto, attraversa tutta l’Umbria antica, possa aver contribuito a favorire la diffusione della grafia a base latina. Inoltre, allo stato attuale delle nostre conoscenze, un’ulteriore differenza con l’osco, per quel che riguarda l’area di attestazione della grafia, consiste nel fatto che se, per l’osco sono note attestazioni anche fuori d’Italia (Provenza), per l’umbro le uniche attestazioni si hanno esclusivamente nell’antico territorio degli Umbri come dimostra anche il fatto che un discreto numero di iscrizioni proviene dal ternano e, precisamente, da Spoleto, da Assisi e da Gubbio da cui, tra l’altro, provengono anche le famose Tavole Iguvine che, ad oggi, rappresentano il documento più significativo e lungo della lingua e delle grafie dell’umbro dal momento che, in esse, compare, come si è già detto, tanto la grafia a base etrusca, quanto quella a base latina.


Modalità  formative dei sistemi di scrittura dell'umbro

Prima di entrare nel merito dei due sistemi grafici diversi di cui si avvale l’umbro, è opportuno dire che, tra i due sistemi alfabetici impiegati da questa lingua, quello che presenta maggiori peculiarità e riadattamenti, è, sicuramente, quello a base etrusca. Infatti, se confrontiamo l’umbro a base etrusca con quello a base latina, possiamo notare che le modifiche inerenti la grafia a base latina sembrano limitarsi ai seguenti elementi:

  1. all’introduzione di qualche segno diacritico (si pensi, ad esempio, al diacritico sulla S ( = [ç])  per rappresentare l’equivalente fonetico del segno  [ç] della grafia umbro-etrusca);
  2. alla creazione di qualche digrafo che combina segni già presenti nell’alfabeto modello (si pensi, ad esempio, all’uso di trascrivere il segno umbro  , che foneticamente equivale ad una [ɖ] e, dunque, ad un suono assente nella lingua latina, con il digrafo  ).

Nell’umbro a base etrusca, invece, si notano una maggiore originalità e la messa in atto di complessi processi di riadattamento della grafia che, oltre a non essersi per forza esauriti in un unico momento, investono due piani:

  1. la natura materiale del sistema alfabetico che riguarda sia la forma che l’introduzione di nuovi segni;
  2. le regole ortografiche che determinano l’utilizzo dei vari segni ed il funzionamento del sistema alfabetico.

Tale riadattamento, in genere, avviene perché il modello alfabetico di riferimento da cui attingere può peccare sia per eccesso di segni che per difetto. Pertanto, una volta comprese le differenze fra la lingua d’arrivo e la lingua di partenza, le uniche soluzioni possibili per creare un nuovo sistema alfabetico che rimedi alle eventuali carenze del modello di riferimento possono essere solo le seguenti:

  • inventare nuovi segni;
  • modificare il valore di altri segni non funzionali nella lingua d’arrivo, ma presenti in quella di partenza;
  • avvalersi di un modello alfabetico “accessorio” al “principale” da cui attingere segni in grado di colmare le lacune;
  • avvalersi contemporaneamente di tutte e tre le soluzioni.

Al termine di tale processo, si procede, in genere, ad eliminare segni superflui e/o ridondanti. A questo punto, visto che l’umbro è una lingua indoeuropea, non deve stupire se le maggiori modifiche grafiche e le maggiori innovazioni si ritrovino proprio quando gli Umbri decidono di prendere a modello l’alfabeto di una lingua non indoeuropea come l’etrusco, piuttosto che quello di una lingua indoeuropea quale il latino, sebbene né l’uno né l’altro soddisfino completamente le esigenze espressive della lingua umbra. Tuttavia, degno di nota è il fatto che l’umbro, nonostante l’inadeguatezza di entrambi i modelli alfabetici di riferimento ad esprimere le peculiarità della lingua umbra, opti per adottare l’alfabeto latino integralmente senza apportarvi alcuna modifica. Una spiegazione per tale scelta, oltre che in ragioni di carattere puramente linguistico, potrebbe risiedere anche in un processo di latinizzazione ormai avanzato che potrebbe aver avvicinato non poco le due culture (e forse le due lingue), o nel notevole prestigio di cui potrebbero aver goduto la lingua e la grafia latina presso gli Umbri, sebbene non sia da escludere che possano aver influito contemporaneamente entrambe le motivazioni.


Alfabeto a base etrusca (IV a. C. - prima metà  del I a. C.)

L’alfabeto di derivazione etrusca è quello in cui sono state redatte le iscrizioni umbre più antiche ad oggi pervenute . Esso, infatti, rappresenta il primo sistema grafico degli Umbri che viene impiegato già a partire dal IV secolo a. C. a seguito di alcune modifiche apportate all’alfabeto etrusco di area settentrionale comunemente usato nelle regioni etrusche limitrofe al territorio umbro. Per tale motivo, si può ben dire che l’alfabeto a base etrusca, anche per le modifiche apportate, sia l’alfabeto “encorio”, ovvero indigeno, per eccellenza e che, dunque, meriti l’aggettivo di umbro a tutti gli effetti. A giudicare dai testi ed in particolare dalle Tavole iguvine che rappresentano la più lunga ed articolata testimonianza della grafia e della lingua umbra, sembra che l’alfabeto umbro a base etrusca abbia impiegato, come si diceva, quale modello principale di riferimento l’alfabeto etrusco di area settentrionale (perugino secondo alcuni, cortonese secondo altri) che si contraddistingue da quello meridionale soprattutto per il fatto di impiegare:

  • - sempre il segno per K () per esprimere il suono [k] laddove, al contrario, l’alfabeto etrusco di area meridionale, per esprimere il medesimo suono [k], impiega ben tre diversi segni ( = g,  = k,  = q) a seconda del timbro della vocale che segue;
  • - il san greco () per esprimere la sibilante [s].

Le iscrizioni più antiche redatte in questa base alfabetica constano, in genere, di poche righe (si pensi, ad esempio, alla dedica apposta sul cosiddetto “Marte di Todi”) contenenti, per lo più, dediche e/o nomi. Pertanto, un’idea ampia e precisa di quale fosse l’alfabeto umbro e di come esso fosse stato riadattato dall’etrusco possiamo farcela solo grazie alle Tavole di Gubbio che, come si detto, non solo rappresentano il documento più lungo, articolato e prezioso della lingua e, contemporaneamente, dei due sistemi di scrittura umbra, ma costituiscono anche un esempio pressoché completo dell’alfabeto umbro-etrusco, delle sue peculiarità linguistiche e delle scelte grafiche compiute dall’umbro rispetto all’etrusco.
Di conseguenza, grazie a questi documenti, possiamo dire che l’alfabeto umbro a base etrusca, a differenza di quello etrusco a cui si rifà, presenta le seguenti caratteristiche:

  1. 1) il segno per la sonora [b], ma non quelli per le sonore [g] e [d] al cui posto impiega, rispettivamente, il segno per indicare sia il suono [k] che [g] ed il segno per indicare sia il suono [t] che [d], laddove, in etrusco, tali segni esprimevano, rispettivamente, solo i suoni [k] e [t];
  2. 2) l’assenza di tutti i segni per le aspirate (φ = phi, χ = chi) con l’unica eccezione di θ = theta il cui valore fonetico sembrerebbe essere quello di [t] o quello di [d], sebbene, qualora si opti per il valore fonetico di [t], sia poco chiaro il motivo per cui ricorrere all’utilizzo di due segni diversi (theta e il segno per t) per esprimere un unico suono quando, invece, manca un suono dedicato per esprimere il suono [d]. Inoltre, in almeno un caso, sembra che il segno del theta sia stato impiegato per esprimere l’esito di una dentale secondaria originatasi da un gruppo consonantico costituito da nasale+dentale per cui θ = nt > nd > d;
  3. 3) la presenza di due nuovi segni,  e , che, ovviamente, per non alterare la sequenza mnemonica dell’alfabeto, sono collocati in fondo e corrispondono, rispettivamente, a [ɖ] e a [ç], suoni assenti nella lingua etrusca;
  4. 4) l’utilizzo del segno per indicare h laddove il modello etrusco ha, invece, il segno ;
  5. 5) l’uso del segno per V per indicare, accanto alla vocale [u] già presente in etrusco, anche la vocale [o] che, invece, come è noto, non è presente in etrusco.

Al contrario, esso ha, in comune con l’etrusco, seppur con differenze fonetiche dovute alla diversità delle due lingue:

  1. 1) il segno per f a forma di 8, ma se il suono fosse simile a quello della f italiana o a quello ipotizzato per l’etrusco è difficile dirlo, mentre è certo che questo, come si è detto, è un suono tipicamente italico tanto che è usato anche da altre popolazioni italiche quali, ad esempio, i Sabini, i Piceni e gli Osci;
  2. 2) il segno V per indicare il suono [u] sebbene, a differenza dell’etrusco, in umbro tale segno serva a trascrivere anche il suono per [o];
  3. 3) la conservazione del san per indicare una sibilante sebbene non sia del tutto pacifico e chiaro a quale sibilante esso corrisponda in umbro dal momento che esiste già il segno per s per indicare il suono [s]. Pertanto, la presenza di un altro segno appartenente alla serie delle sibilanti può indurre a pensare che il san possa essere stato utilizzato per esprimere o un’altra sibilante il cui valore fonetico potrebbe essere [ss] o [ʃ], o, più semplicemente, una variante del sigma.

In definitiva, rispetto all’alfabeto etrusco di area settentrionale da cui si pensa che quello umbro a base etrusca sia derivato, nell’umbro-etrusco si notano delle differenze che riguardano:

  1. 1) il numero dei segni impiegati dal momento che nell’umbro-etrusco è di 21 contro i 20 dell’alfabeto etrusco settentrionale che, inoltre, nel passaggio dall’etrusco all’umbro subiscono un’ulteriore decurtazione mantenendo solo 18 dei segni originari;
  2. 2) l’eliminazione di soli due segni per le aspirate, ovvero dei segni per φ = phi e per χ = chi e non di tutti e tre come, invece, sarebbe stato più plausibile visto che l’umbro, al pari dell’osco, non ha suoni aspirati;
  3. 3) l’uso di soli 4 segni per esprimere un sistema vocalico composto da almeno 5 suoni ([a], [e], [i], [o], [u]);
  4. 4) l’aggiunta, sempre per motivi fonetici, di segni assenti in etrusco per cui abbiamo:
  • - la reintroduzione del segno per B per indicare il suono [b] e che, essendo già impiegato in altre sequenze alfabetiche o essendo stato comunque tramandato nelle cosiddette sequenze alfabetiche teoriche (si pensi, ad esempio, all’alfabeto teorico di Marsiliana d’Albegna), viene reinserito al suo posto originario;
  • - l’introduzione del tutto nuova del segno  che, trascritto con o ř, foneticamente equivalente a [ɖ] ed originatosi, analogamente a quanto avvenuto per l’osco, ispirandosi ad una variante del segno per R (forse a causa del fatto che nell’alfabeto modello etrusco il segno a forma di D risultava già impiegato per indicare il suono per [r] non essendoci, in etrusco, consonanti occlusive sonore), viene inserito, accanto al segno , al termine della sequenza alfabetica in quanto estraneo al precedente patrimonio formale;
  • - l’introduzione del tutto nuova del segno  che, trascritto con ç e foneticamente equivalente a [ṭ] o a [ç]) o a [ʃ], viene inserito, analogamente al segno , al termine della sequenza alfabetica in quanto estraneo al precedente patrimonio formale.

Infine, va detto che il ductus della scrittura è sinistrorso, ovvero procedente da destra verso sinistra, analogamente a quanto avviene per l’alfabeto etrusco, mentre la forma delle lettere tende a regolarizzarsi nel tempo per cui, se nel IV a. C. essa ricorda moltissimo l’aspetto delle lettere dell’alfabeto etrusco e non vi è alcuna separazione fra le parole (si pensi all’iscrizione del “Marte di Todi” databile, appunto, verso il IV a. C.), a partire dal III a. C. l’aspetto delle lettere tende ad assumere una forma più squadrata e regolare e si scrive separando tra loro le parole tramite l’utilizzo di uno o due punti.


Alfabeto a base latina (prima metà  del II a. C. - prima metà del I a. C.)

Il secondo sistema di scrittura di cui si avvale la lingua umbra è quello a base latina, le cui attestazioni, come si è detto, sebbene si abbiano in tutto il territorio dell’Umbria antica  e, in vari casi, in co-occorrenza con le iscrizioni umbre a base etrusca, sembrano collocarsi in un periodo cronologicamente successivo a quello in cui fa la sua comparsa la grafia umbra a base etrusca. Tuttavia, sebbene sia praticamente certo che nelle iscrizioni umbre l’alfabeto latino venga introdotto dopo quello etrusco, più complesso e problematico è capire l’uso simultaneo dei due sistemi alfabetici e le eventuali norme che ne regolassero l’utilizzo per una serie di motivi:

  1. 1) la sproporzione qualitativa del corpus documentario dell’umbro che, infatti, risulta costituito, da una parte, dalle Tavole Iguvine che rappresentano il documento più importante, più lungo e più ricco di tutta l’Italia antica ed in cui coesistono sia il sistema scrittorio a base etrusca che quello a base latina, e, dall’altro, da poche decine di iscrizioni, cosiddette minori, la cui estensione varia da una parola ad un massimo di circa 3 righe;
  2. 2) la difficile datazione delle iscrizioni per motivi archeologici, linguistici ed epigrafici che riguarda non solo le Tavole Iguvine, ma anche le iscrizioni cosiddette minori.

Se analizziamo le Tavole Iguvine, ed in particolare la n. 5, possiamo notare che, in essa, i due sistemi alfabetici, quello a base etrusca e quello a base latina, coesistono; essendo stato materialmente redatto prima il testo in grafia a base etrusca e poi quello in grafia a base latina, almeno in questo caso, è certo che il sistema alfabetico latino sia stato usato successivamente, sebbene non sia possibile definire quanto. Se, invece, analizziamo le tavole n. 1 e 2, redatte in alfabeto a base etrusca, e le tavole 6 e 7, redatte in alfabeto a base latina, le cose si complicano.
Infatti, se la compresenza dei due sistemi grafici nella tavola n. 5 sembrerebbe indurre a pensare che tutte le tavole scritte in grafia umbra, quali appunto le n.1 e 2, siano state scritte prima di tutte quelle in grafia latina, nella realtà, la situazione è più complessa in quanto la tavola n. 5, che, come si è detto, sembra segnare lo spartiacque cronologico tra le due grafie, contenutisticamente non ha nulla a che vedere con le altre in quanto contiene decreti di carattere organizzativo e finanziario, mentre le altre hanno un contenuto religioso e, dunque, uno stile scrittorio completamente diverso rispetto a quello impiegato nella tavola n. 5. Da quanto appena detto, risulta chiaramente che la tavola n. 5 non può essere utilizzata per dirimere la questione cronologica relativa all’utilizzo dei due sistemi grafici non solo perché il suo contenuto non è confrontabile con quello delle altre tavole, ma anche perché il testo in alfabeto latino potrebbe essere stato aggiunto a quello in grafia umbra anche molto tempo dopo rispetto al primo e per motivi del tutto diversi rispetto a quelli che potrebbero aver spinto la popolazione umbra ad avvalersi anche della grafia a base latina per redigere i propri testi. Inoltre, ad ulteriore testimonianza della complessità e della problematicità della questione, sta anche il confronto fra le su citate tavole redatte in grafia umbra (Tavv.1 e 2) e le su citate tavole redatte in grafia latina (Tavv. 6 e 7). Infatti, da un punto di vista contenutistico, le Tavv. 6 e 7 sembrerebbero essere una trascrizione in grafia latina del rituale che, nelle Tavv. 1 e 2, è redatto in umbro se non fosse che, tale trascrizione, non solo non riproduce fedelmente quanto riportato nelle Tavv. 1 e 2, ma introduce anche delle varianti notevoli e dei dettagli maggiori rispetto ai due testi in grafia umbra di cui, ad oggi, gli studiosi non riescono ancora a dare una spiegazione univoca e chiara. Infine, a complicare ulteriormente la questione cronologica relativa all’utilizzo della grafia a base latina abbiamo:

  1. 1) la presenza di qualche influenza della lingua latina nelle iscrizioni umbre cosiddette minori che sembrerebbe dimostrare non solo che l’umbro, come lingua e come grafia, è stato usato anche dopo la diffusione della lingua latina, ma anche che, se la lingua latina ha influenzato la lingua umbra, la latinizzazione in questa regione deve essere avvenuta prima della guerra sociale (90-89 a. C.) ed essersi compiuta, con molta probabilità, già durante la diffusione della grafia a base latina, ovvero, già verso la fine del II a. C. (come sembrerebbe confermare anche il rinvenimento di testo in grafia a base etrusca proveniente da Assisi che, secondo F. Coarelli, è posteriore ad un altro documento umbro, proveniente anch’esso da Assisi, ma redatto in grafia latina);
  2. 2) l’adozione integrale dell’alfabeto latino senza alcuna modifica o riadattamento. Tale scelta, completamente antitetica rispetto a quanto accaduto per l’alfabeto etrusco, che, invece, è stato adottato solo dopo essere stato opportunamente modificato, non solo induce ad ipotizzare che l’alfabeto a base latina (impiegato in versione, per così dire, integrale) possa essere stato sentito come perfettamente idoneo a rappresentare l’identità nazionale dagli Umbri, ma anche che, per gli Umbri, la lingua e la grafia latina dovessero essere così prestigiose e così consuete ed usuali da non necessitare di alcun riadattamento. Tali ipotesi potrebbero, infine, anche contribuire a giustificare la presenza di alcune anomalie o soluzioni poco economiche che sembrano riscontrarsi nella grafia a base latina.

Infatti, se ci soffermiamo ad esaminare i caratteri dell’alfabeto latino impiegato per trascrivere la lingua umbra, possiamo notare che l’umbro sembra avere per modello l’alfabeto latino impiegato tra il IV ed il II a. C. dal momento che esso, sebbene il segno per Z () sia presente e funzionale nell’umbro a base etrusca, risulta privo di alcuni segni quali, appunto, la Z e la Y che, come è noto, nell’alfabeto latino vengono introdotti (o reintrodotti) solo a partire dal II a. C. circa. Tuttavia, l’assenza di Z in grafia umbro-latina sembrerebbe essere comunque anomala. Infatti, il suono [ts], che nell’umbro a base etrusca viene reso con il suddetto segno , viene reso nell’umbro a base latina tramite il segno per S ().Ciò, però, crea, di fatto, un’omografia ed una reduplicazione inutile di un segno che ha già un suo valore fonetico ben definito. Inoltre, anche in considerazione dell’uso alquanto tardo della grafia a base latina, sarebbe stato, forse, più logico e conveniente recuperare tale segno o da altre tradizioni grafiche quali, ad esempio, quella osca a base latina (dove il segno latino per Z è comunque attestato) o, addirittura, dallo stesso alfabeto latino. Infatti, se è giusta l’attribuzione cronologica, a favore dell’alfabeto latino sarebbe il fatto che le iscrizioni umbre a grafia latina sembrerebbero diffondersi proprio in un periodo in cui è possibile che in latino si stesse incominciando a reintrodurre il segno per Z.
Sulla base di quanto appena detto, oltre a risultare chiara l’anomalia, risulta comprensibile che tale assenza contribuisca non poco ad aumentare i dubbi già esposti in merito alla cronologia in cui si sia diffuso l’alfabeto latino e non aiuti certo a datare con una maggiore precisione i testi pervenutici.
Ma le differenze tra le due grafie non terminano qui. Infatti, oltre all’assenza di Z, si segnala:

  1. 1) la sostituzione del segno per K con quello per C per indicare l’occlusiva gutturale sorda [k];
  2. 2) l’aggiunta, rispetto alla grafia a base etrusca, del segno per G, derivato, probabilmente, dall’utilizzo di un diacritico apposto al segno per C, per indicare l’occlusiva gutturale sonora [g] laddove l’umbro a base etrusca utilizza, indistintamente ed esclusivamente, il K sia per l’occlusiva gutturale sorda che per quella sonora;
  3. 3) l’aggiunta, rispetto alla grafia a base etrusca, del segno per D per indicare la dentale sonora [d] laddove l’umbro a base etrusca utilizza indistintamente ed esclusivamente il segno per T sia per la dentale sorda che per quella sonora, sebbene la presenza del solo theta induca a ritenere che l’articolazione delle dentali potesse essere più complessa di ciò che riusciamo a dedurre
  4. 4) l’uso del segno V per indicare tanto il suono [w] che [u] e del segno O per il suono [o], laddove la grafia a base etrusca impiega il segno V per indicare il suono [u] ed [o] e l’antico digamma () per indicare il suono [w]
  5. 5) l’assenza di un segno o di più segni per rendere ciò che in grafia a base etrusca è espresso tramite l’impiego del theta () e del san ();
  6. 6) l’impiego del diacritico sulla S () per esprimere il segno  della grafia a base etrusca la cui resa fonetica potrebbe corrispondere o ad una [tʃ] o ad una [ç] o ad una [ʃ];
  7. 7) l’utilizzo del digrafo RS per esprimere il segno  della grafia a base etrusca la cui resa fonetica sembra corrispondere ad una retroflessa [ɖ]
  8. 8) l’aggiunta del segno Q assente nell’umbro a base etrusca per indicare il suono [kw].

Riguardo all’area di diffusione e alla cronologia delle iscrizioni in grafia latina, va segnalato che, sulla base dei rinvenimenti attuali, sebbene esse si collochino, come si è detto, in tutto il territorio dell’Umbria antica, le maggiori attestazioni si hanno nel Ternano e si collocano, per lo più, nel II sec. a. C.
Infine, il ductus della grafia, contrariamente a quanto avviene per la grafia a base etrusca, è destrorso e le lettere presentano un andamento alquanto regolare.


Supporti, contenuti, modi e strumenti della scrittura

Per quel che riguarda i supporti di scrittura, va detto che, tenendo conto del possibile se non probabile impiego di materiali (e/o oggetti) non pervenuti fino a noi a causa della loro deperibilità, quali il legno, la stoffa ecc., i principali supporti per la scrittura di cui abbiamo testimonianza certa d’utilizzo sono:

  • - la pietra;
  • - il metallo (bronzo e, probabilmente, argento e oro).

La pietra, vista la maggiore consistenza e resistenza, veniva generalmente impiegata per iscrizioni votive, sacre, funerarie, di dedica, di carattere istituzionale;
La scrittura su metalli preziosi doveva ovviamente essere più rara in ragione della natura del supporto. Di conseguenza, essa veniva impiegata solo per redigere testi particolari di carattere sia istituzionale che religioso, o per impreziosire ulteriormente manufatti di valore. Tra i metalli, particolarmente privilegiato era il bronzo, utilizzato per contenere testi normativi, religiosi, giuridici, oltre che dediche votive.
Il metallo veniva anche usato per coniare monete. Relativamente a queste, va detto che, ad oggi, sono state rinvenute solo monete in bronzo (si pensi alle due monete rinvenute a Gubbio e a Todi, recanti rispettivamente la legenda ikuvini e tutere), sebbene non sia da escludere che possano essere esistite monete in argento (come è, ad esempio, attestato in osco) e persino in oro.