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Antiche scritture del Mediterraneo

Guida critica alle risorse elettroniche

Osco

- (prima metà  del IV a. C. - prima metà del I a. C.)

a cura di: Alessia Ventriglia


  • Presentazione
  • Indice dei contenuti
  • Approfondimenti


Iovila in terracotta opistografa. Antica Capua: Fondo Patturelli. IV-III a. C.


La scrittura osca, che, sulla base dei rinvenimenti attuali, è documentata tra la prima metà del IV secolo a. C. e la prima metà del I a. C., rappresenta quasi un unicum in tutta la penisola ed un vero e proprio emblema di integrazione ed aggregazione culturale in quanto serve a veicolare una lingua, l’osco, che, al pari degli alfabeti, è anch’essa il frutto di un fenomeno di koiné (di gruppo) essendo nata da una progressiva omologazione linguistica di varie tradizioni autonome dell’Italia centro meridionale (esclusa la zona a sud di Foggia). Per tale motivo, abbiamo tre alfabeti diversi che si avvalgono di tre basi grafiche diverse, una etrusca, una greca ed, infine, una latina, a seconda dell’area geografica di utilizzo e della cronologia di attestazione e che, a causa di questa tripartizione, utilizzano un numero di segni oscillanti tra un minimo di 19 ed un massimo di 23.


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Indice dei contenuti

Definizione di osco e tipo di scrittura

All’interno della penisola italiana, l’osco rappresenta l’unica lingua antica che viene rappresentata tramite l’impiego di tre diversi sistemi grafici fondamentali che sono, rispettivamente:

  1. di derivazione etrusca;
  2. di derivazione greca;
  3. di derivazione latina.

Questa soluzione insolita ed unica di impiegare tre alfabeti diversi, rispettivamente applicati a tre lingue diverse (etrusco, greco e latino), per rappresentarne una sola, l’osco, trova la sua origine nel fatto che la lingua osca è il frutto di una progressiva omologazione linguistica originatasi a partire da varie tradizioni autonome dell’Italia centro-meridionale (esclusa la zona a sud di Foggia). Da ciò ne consegue che essa è il risultato di una koiné interregionale di livello socialmente alto e legato alla comunicazione ufficiale, in quanto non è “la lingua di un solo testo, bensì quella di una complessa produzione di cui è possibile supporre che esistesse da parte degli scribi una specifica consapevolezza intertestuale” (cfr. SILVESTRI 1989, p. 351). Inoltre, la scelta (di koiné) di avvalersi di due diversi alfabeti, oltre che rispettare tradizioni scrittorie preesistenti, sembra riflettere una forte volontà di identificazione ed autorappresentazione etnica che tiene, però, conto del diverso contesto socio-culturale in cui va ad inserirsi e che sembra essere la soluzione più idonea a veicolare una lingua che, a sua volta, è un prodotto di koiné.


Area di diffusione dei sistemi di scrittura dell'osco

Per quanto riguarda le aree di diffusione dei tre sistemi grafici dell’osco, va detto che la questione riguarda esclusivamente l’alfabeto a base etrusca e quello a base greca dal momento che, rispetto ad essi, quello latino non solo nasce successivamente, ma viene anche impiegato in modo episodico ed asistematico. Premesso ciò, va anche detto che l’alfabeto osco-etrusco e quello osco-greco, di fatto, si collocano in due aree in cui, già prima della diffusione della lingua osca, vigevano due diversi sistemi scrittori che rimandavano a due culture diverse: da un lato quella etrusca, dall’altro quella greca. I confini di separazione tra queste due aree, tendenzialmente divise da una linea ideale che va dal golfo di Salerno, sul Tirreno, al Gargano, sull’Adriatico, non erano, però, netti. Infatti, già tra il VI ed il V sec. a. C., si era creata una fascia intermedia, compresa, all’incirca, tra la penisola sorrentina ed il fiume Sele, in cui i due sistemi coesistevano. Testimonianza tangibile di tale contatto, ci viene fornita dal rinvenimento di alcuni documenti redatti in un modo tale da poter essere letti sia secondo l’alfabeto greco che secondo quello etrusco, quali, ad esempio:

  1. l’iscrizione σπυ da Fratte di Salerno databile alla prima metà del V secolo a. C.
  2. l’iscrizione vípineis (se la si legge secondo l’alfabeto etrusco) o Fíπινεις (se la si legge secondo l’alfabeto greco), proveniente da Sorrento e databile tra il IV ed il III a. C.

Una simile ambiguità grafica, oltre ad essere il frutto di normali fenomeni di interferenza linguistica, frequenti in aree di confine, è, probabilmente, da connettere anche con la presenza di gente italica insediatasi sia all’interno del centro etrusco di Pontecagnano che nei suoi territori limitrofi. Infatti, l’insediamento di Italici in questi territori è testimoniato almeno dalla:

  1. presenza di iscrizioni italiche in alfabeto acheo dalla necropoli di Fratte, centro la cui storia sembra risentire moltissimo delle alterne vicende del vicinissimo territorio di Pontecagnano;
  2. la presenza di un’enclave italica a Pontecagnano che era solita scrivere in alfabeto etrusco.

Inoltre, questa coesistenza, all’interno di due territori confinanti, di iscrizioni italiche redatte sia in greco che in etrusco, diventa alquanto significativa se la osserviamo nell’ottica di una continuità con la divisione alfabetica che, successivamente, si cristallizzerà ed istituzionalizzerà proprio con i Sanniti dal momento che essa ci mostra, chiaramente, degli Italici abituati ad usare indifferentemente, già dal V a. C., tanto l’alfabeto greco quanto quello etrusco per veicolare una lingua italica. Pertanto, alla luce di quanto appena detto, risulta altrettanto chiaro che i Sanniti, nel momento in cui impiegano l’alfabeto a base etrusca e quello a base greca per veicolare l’osco, non fanno altro che applicare il nuovo sistema alfabetico ad una partizione già esistente.


Origine dei sistemi di scrittura dell'osco

Prima di entrare nel merito dei tre sistemi grafici diversi di cui si avvale l’osco, è opportuno soffermarsi sul processo di nascita dei due sistemi alfabetici nativi dell’osco, ovvero, di quello a base etrusca e di quello a base greca dal momento che quello a base latina, cronologicamente più recente, nasce per motivazioni completamente diverse rispetto a quelle che generano le altre due grafie dell’osco. Questi due sistemi alfabetici, infatti, a differenza dell’osco a base latina, sono il frutto di un progressivo e necessario adattamento dei rispettivi modelli di riferimento. Per entrambi, i suddetti processi di adattamento investono due piani:

  1. 1. la natura materiale del sistema alfabetico che riguarda sia la forma che l’introduzione di nuovi segni
  2. 2. le regole ortografiche che determinano l’utilizzo dei vari segni ed il funzionamento del sistema alfabetico

e si originano, secondo la definizione che ne dà Michel Lejeune, a partire dalla sinergia tra modelli alfabetici “principali” e modelli alfabetici “accessori”. Nelle due aree in questione, ovvero in quella in cui vige l’alfabeto etrusco ed in quella in cui vige l’alfabeto greco, il rapporto tra questi due modelli è invertito. In pratica, nell’area etrusca il modello “principale” per l’osco è rappresentato dall’alfabeto etrusco, mentre, tra i modelli “accessori”, si può citare sia l’alfabeto greco che quello italico delle cosiddette iscrizioni “protocampane” o “paleoitaliche” provenienti da Nocera, Vico Equense e, di recente, anche da Sorrento ed i cui testi, rispettivamente, sono:

  1. 1.  // bruties // esum //, iscrizione di possesso (“sono di + nome dell’individuo”, oppure “sono + nome dell’individuo”) rinvenuta su un’oinochoe in bucchero e databile alla seconda metà del VI a. C.
  2. 2.  // ievies // esum: p[a]ces : adaries, iscrizione di possesso (“sono di + nome dell’individuo”, oppure “sono + nome dell’individuo”) rinvenuta su un’oinochoe in bucchero e databile alla seconda metà del VI a. C.
  3. 3. rufieis pafieis oppure urufieis pafieis iscrizione di possesso (“di + nome dell’individuo e senza il verbo essere”, oppure “nome dell’individuo senza alcun verbo”) rinvenuta su una coppetta in bucchero e databile tra la fine del VI e l’inizio del V a. C.

In queste iscrizioni, infatti, oltre ad essere espresso un alfabeto italico, altrimenti detto “nucerino” dal luogo del primo rinvenimento, si possono già riscontrare alcuni elementi che, successivamente, si ritroveranno anche nel futuro alfabeto osco a base etrusca quali:

  1. 1. la presenza di segni, quali lo ypsilon senza codolo (attestato nel documento di Nocera, di Vico Equense e di Sorrento), presi direttamente dal greco senza passare per la mediazione etrusca come dimostrerebbe il fatto che esso, benché tipico dei Greci di Cuma già dal VII a. C., negli altri centri campani si diffonderà solo successivamente;
  2. 2. la tendenza ad impiegare una forma alquanto squadrata per le vocali come a ed e che, in questi documenti, seppur orientate in modo diverso rispetto all’andamento della scrittura, presentano già la forma tipica che avranno nell’osco come è ben visibile nelle a attestate nei documenti di Nocera e Vico o nelle e presenti in tutte e tre le iscrizioni.

Nell’area greca, invece, il modello “principale” è rappresentato dal greco, mentre quello “accessorio” dall’etrusco o, con maggiore probabilità, da quello etrusco già modificato dagli Italici.
Tali rapporti tra i due sistemi alfabetici, quello “principale” e quello “accessorio”, sono desumibili proprio dalle diverse integrazioni e riadattamenti che l’osco compie nelle due aree in questione. Infatti, nell’area alfabetica etrusca, al modello “principale” mancavano:

  1. 1. i segni per le occlusive sonore (b, d e g);
  2. 2. il segno per la vocale o;
  3. 3. probabilmente, un segno per una vocale palatale aggiuntiva rispetto alla normale i dal momento che, successivamente, l’osco, sente l’esigenza di integrare il sistema con un’ulteriore vocale palatale, generalmente trascritta come í diacriticata, che risultava già presente nell’alfabeto sudpiceno e in alcune iscrizioni provenienti dalla Campania, dove, infatti, questo segno, sembra essere documentato, seppur in modo sporadico, già dal VI – V secolo a. C. in un’iscrizione da Sorrento (arvl/íes/n) e, probabilmente, in un testo da Fratte (peiθrasíÌ£anaÌ£claíÌ£cÌ£( op. kÌ£)aisiienunie.s. pe) in cui sembra comparire ben due volte. A queste, sempre in Campania, seguono:
    • - nel V a. C., un’attestazione da Stabiae (più o meno nei pressi dell’odierna Castellammare di Stabia);
    • - tra il V ed il IV a. C., un’attestazione da Vico Equense in sequenza C+í (pape safví);
    • - nel IV a. C., due attestazioni da Sorrento, di cui una in sequenza (irnthií) e l’altra in sequenza C+í+C (vípineis), ed un’attestazione da Saticula in sequenza íi (spuríieis culcfnam), fino ad arrivare alla diffusione standard del III a. C. in cui questo segno si trova diffuso, ormai abitualmente, in tutte le iscrizioni osche a base etrusca. Una tale ricorrenza ha, inoltre, indotto gli studiosi ad ipotizzare che, nel passaggio tra il IV ed il III a. C., si sia verificata, nell’osco, una riforma ortografica che abbia regolarizzato e standardizzato l’uso dei segni diacriticati í ú.

Nell’area alfabetica greca, invece, al modello alfabetico principale mancava esclusivamente il segno per f, ma si disponeva in abbondanza, di segni per o e per e. Pertanto, è ovvio che le soluzioni adottate dall’osco, per colmare le suddette lacune, siano state diverse nelle due aree. Infatti, nell’area etrusca, l’osco, per le consonanti mancanti, attinge dai modelli “accessori” rappresentati dal greco e/o da quello paleoitalico o “nucerino”, dovendo, però, creare una variante del segno per R, forse a causa del fatto che, in etrusco, il segno a forma di D risultava impiegato già per indicare il suono per [r], mentre, per le vocali mancanti (ovvero la o e quella palatale aggiuntiva trascritta con í), inserisce nuovi segni (trascritti, rispettivamente, ú ed í) o creandoli ex novo con l’ipotetica riforma ortografica del IV – III a. C., o, con molta probabilità, attingendoli dall’alfabeto paleoitalico della Campania di cui, però, abbiamo solo qualche traccia. Nell’area greca, invece, l’osco, dovendo aggiungere solo il segno per f, sembra puntare, più che sull’introduzione di nuovi segni, sulla creazione di nuove regole ortografiche che consentano di impiegare in modo diverso i segni di cui già dispone il greco. Pertanto, inizialmente, sia per le vocali, trascritte con í ed ú, che per il segno per f, l’osco a base greca si avvale dei segni che ha già nel suo repertorio creando diverse combinazioni. Successivamente, per il segno per f impiega anche segni diversi rispetti al modello “principale” di riferimento sulla cui provenienza e/o formazione ancora si discute, mentre per le vocali, continua ad avvalersi di regole ortografiche che subiscono ulteriori cambiamenti tra il IV ed il III a. C. al punto da creare, almeno per quel che riguarda la notazione delle vocali anteriori o palatali e posteriori o uvulari, delle combinazioni alquanto variegate e complesse.


Alfabeto a base etrusca (prima metà  del IV a. C. - prima metà  del I a. C.)

L’alfabeto di derivazione etrusca, detto anche “encorio” non solo perché è quello in cui sono state redatte le iscrizioni osche più antiche ad oggi pervenute, ma anche perché è quello maggiormente diffuso dal momento che esso, in linea di massima, veniva usato:

  • - nel Sannio (all’incirca, l’attuale Molise e la provincia di Benevento);
  • - nell’Irpinia (attualmente identificabile, all’incirca, con la provincia di Avellino);
  • - nella Campania antica (che comprendeva esclusivamente le attuali province di Napoli e Caserta e parte di quella di Salerno fermandosi, press’a poco nei pressi del fiume Sele e di Paestum) dove, però, ad oggi, il limite più meridionale della diffusione della grafia osca a base etrusca è rappresentata dall’iscrizione proveniente dall’Athenaion di Punta Campanella, ubicata nell’attuale provincia di Napoli.

Le iscrizioni più antiche redatte in questa base alfabetica provengono dall’antica Capua (odierna S. Maria Capua Vetere) e sono rappresentate dalle cosiddette Iovile (iuvilas), ovvero, i documenti più originali e più importanti della lingua osca a base etrusca e che, al pari dell’etrusca Tabula Capuana (detta anche Tegola di Capua per la sua provenienza), costituiscono un unicum utile a fornirci un esempio completo dell’alfabeto osco-etrusco della città e delle sue peculiarità linguistiche, insieme ad informazioni di carattere vario.
Di conseguenza, grazie a questi documenti, possiamo avere un’idea chiara e completa non solo di come fosse l’alfabeto osco a base etrusca, ma, indirettamente, anche di come dovesse essere la lingua espressa da queste iscrizioni. Pertanto, possiamo dire che l’alfabeto osco a base etrusca, a differenza di quello etrusco a cui si rifà, non ha i segni per le aspirate φ = phi, χ = chi e θ = theta, ma ha:

  1. 1. i segni per le sonore b, g e d
  2. 2. ha sette segni per rappresentare le vocali: le consuete a, e, i, o, u a cui, probabilmente in un secondo momento, sono stati aggiunti i segni diacriticati í ed ú, di cui, però, non è ancora chiaro il valore fonetico dal momento che per alcuni studiosi questi due segni potrebbero indicare una differenza di apertura rispetto alla i ed alla u (analoga alla differenza che, ad esempio, esiste in italiano tra la e di pèsca = frutto e la e di pésca = attività sportiva), mentre, per altri, potrebbero indicare anche una differenza timbrica, cioè due altri suoni che noi, forse, ignoriamo;

Invece, in comune con l’etrusco, seppur con differenze fonetiche dovute alla diversità delle due lingue, ha:

  1. 1. il segno per f a forma di 8, ma se il suono fosse simile al nostro o a quello ipotizzato per l’etrusco è difficile dirlo, mentre è certo che questo, come si è detto, è un suono tipicamente italico tanto che è usato anche da altre popolazioni italiche quali, ad esempio, i Sabini e i Piceni;
  2. 2. una semivocale, generalmente trascritta con v, il cui suono, forse, analogamente all’etrusco, doveva avvicinarsi molto a quello che emettiamo quando pronunciamo la coppia uo nella parola “uomo”.

In definitiva, rispetto all’alfabeto etrusco della Campania da cui si pensa che quello osco a base etrusca sia derivato, nell’osco-etrusco si notano delle differenze che riguardano:

  1. 1. il numero dei segni impiegati dal momento che nell’osco-etrusco è di 21 contro i 19 desumibili dall’etrusca Tabula Capuana;
  2. 2. l’eliminazione di alcuni segni qual è il caso del theta etrusco ( ) che scompare in osco in quanto la lingua osca non ha il suono aspirato corrispondente;
  3. 3. la sostituzione di alcuni segni con altri dovuta ad esigenze fonetiche per cui abbiamo:
  • - il segno per D inserito correttamente nel posto che gli spetta, ma sostituito, nella realizzazione pratica, con una probabile variante del segno per R, forse a causa del fatto che, in etrusco, il segno a forma di D risultava impiegato già per indicare il suono per [r] non essendoci, in etrusco, come si è detto, consonanti occlusive sonore;
  • - il segno C impiegato per indicare il suono [g] e non più quello per [k] per cui, invece, è stato recuperato il segno K;

o formali per cui assistiamo esclusivamente ad una sostituzione formale di un segno con un altro, ma ad una conservazione della posizione precedentemente assegnatagli all’interno della sequenza alfabetica dal momento che, presumibilmente, la sostanza fonica non cambia quale sembra, appunto, essere il caso del suono [w], trascritto con v, che in etrusco viene indicato con e in osco-etrusco con ;

      4.  4. l’aggiunta, sempre per motivi fonetici, di segni assenti in etrusco per cui abbiamo:

  • - la reintroduzione del segno per B per indicare il suono [b] e che, essendo già impiegato in altre sequenze alfabetiche, compresa quella greca, viene reinserito al suo posto originario;
  • - l’introduzione del tutto nuova dei due segni trascritti con í ed ú diacriticata e che, in quanto estranei al precedente patrimonio formale, sono stati inseriti al termine della sequenza alfabetica.

Infine, oltre a segnalare il fatto che è solo in questo alfabeto che sono stati prodotti dei testi, quali spartax o il nome di un quattuovir indicato con l’osco “IIIIner”, provenienti tutti da Pompei, la cui cronologia potrebbe essere posteriore alla guerra sociale, va detto che il ductus della scrittura è sinistrorso, ovvero procedente da destra verso sinistra, analogamente a quanto avviene per l’alfabeto etrusco.


Alfabeto a base greca (prima metà  del IV a. C. - prima metà  del I a. C.)

Il secondo sistema di scrittura impiegato in osco è quello a base greca le cui attestazioni, fermo restante una certa difficoltà nell’individuare il confine tra l’area in cui si utilizzava la grafia greca e quella in cui si utilizzava quella etrusca, si collocano generalmente:

  • nel Bruzio (coincidente all’incirca con l’attuale Calabria);
  • in Lucania (coincidente con l’attuale Basilicata e con la parte meridionale dell’attuale provincia di Salerno dal momento che Paestum è stata la località più settentrionale ad averci restituito iscrizioni osche in grafia greca)
  • in Sicilia, nelle zone occupate dai Mamertini (ovvero parte dell’attuale provincia di Messina).

Per quel che riguarda la sua cronologia di utilizzo, va detto che, nel complesso, le iscrizioni osche in grafia greca, come dimostrano bene alcune legende monetali osche in carattere greci, sono quasi coeve con quelle in grafia etrusca, sebbene queste ultime siano di pochissimo più antiche.
Riguardo all’alfabeto, va detto che esso si avvale di 23 segni e, a differenza di quello a base etrusca, piuttosto che inserire nuovi segni, si avvale di quelli preesistenti modificandone, però, le regole di funzionamento in rapporto alle esigenze fonetiche per cui, ad esempio, la í diacriticata viene, generalmente, resa con ει, mentre il dittongo ei con ηι, ma queste convenzioni grafiche sono comunque suscettibili di variazioni in base alla cronologia di redazione del testo. Discorso analogo vale anche per la ú diacriticata della grafia etrusca che, in grafia greca, presenta una varietà notevole di realizzazioni possibili dipendenti anche dall’incertezza attributiva dell’esatto valore fonetico. Infine, differenze rispetto alla grafia etrusca, si riscontrano anche per la soluzione scelta per redigere l’equivalente osco-etrusco del segno per f dal momento che si utilizza una specie di S (ovvero di sigma a tre tratti) o un cerchio tagliato da una linea che ricorda un theta che, come già detto per la grafia etrusca, rappresenta un suono assente in osco e, dunque, il segno può essere suscettibile di riutilizzo con funzione diversa rispetto a quella originale.
Infine, il ductus della grafia è, a differenza dell’osco-etrusco, ma analogamente all’osco a base latina, destrorso, ovvero con andamento da sinistra verso destra.


Alfabeto a base latina (metà  del II a. C. - prima metà  del I a. C.)

Il terzo sistema di scrittura, di cui si avvale la lingua osca, è costituito dall’intero alfabeto latino sebbene non manchino delle differenze rispetto alle modalità d’impiego della lingua latina che riguardano l’uso dei segni Z, C ed X. Infatti, stando a quel che si evince dalla Tabula Bantina, il più importante, lungo ed articolato testo giuridico osco in questa grafia, possiamo notare che, nell’osco a base latina, il segno per Z, la cui reintroduzione, testimoniata da frequenti grecismi presenti nell’osco, è dovuta a contatti con le città magno-greche, è usato per indicare almeno due diversi valori fonetici:

  1. una sibilante sonora ([z] - /s/) corrispondente, dunque, ad una “s” intervocalica quale quella che, ad esempio, si può ritrovare nella parola “casa”;
  2. un’affricata, simile alla nostra /z/, il cui suono sembra essere lo stesso di quello che, nella fase più antica dell’osco a base etrusca, viene espresso dal gruppo grafico dj-. In questo caso, l’utilizzo del segno per Z potrebbe essere stato influenzato dal greco (si pensi, ad esempio, alla corrispondenza tra il greco Zeus e l’osco Dioveís - Diovei, rispettivamente in genitivo e dativo).

Il segno per C, indicante un’occlusiva gutturale sorda ([k]), è, invece, sostituito da quello espresso con il K in quanto si è preferito conservare il ben noto K di tradizione più antica.

Il segno per X impiegato, probabilmente, per indicare un'affricata palatale sorda [t∫].


Rispetto ai sistemi grafici a base etrusca e a base greca, il sistema di scrittura a base latina si contraddistingue anche per:

  1. un’apparizione tarda in quanto le prime documentazioni osche in grafia latina sono da collocarsi in un periodo non antecedente alla metà del II secolo a. C., mentre gli altri due sistemi di scrittura sono utilizzati già dalla metà del IV secolo a. C.;
  2. una diffusione areale non sistematica che si manifesta episodicamente a macchia di leopardo in un territorio piuttosto variegato che include anche le aree di attestazione dei sistemi alfabetici a base etrusca e a base greca.

Una simile distribuzione areale è determinata o da fenomeni di autoromanizzazione per cui il sistema grafico viene a rappresentare una ben precisa scelta ideologica e/o politica, o dalla presenza di colonie latine in prossimità, come ben si osserva soprattutto in Lucania ed, infatti, è proprio da questa zona che, pur essendo impiegato il sistema scrittorio a base greca, proviene la Tabula Bantina. Oltre a questo testo di carattere giuridico, altri documenti in osco a base latina riguardano, per lo più, la sfera religiosa e si ritrovano in entrambe le aree alfabetiche principali per cui

  • da quella a base greca, rappresentata soprattutto dalla Lucania, provengono, generalmente, iscrizioni votive;
  • da quella a base etrusca, in particolare da Cuma, provengono, generalmente, delle tabellae defixionis (o defixiones), ovvero testi con funzione di maledizione verso avversari, malintenzionati o eventuali colpevoli di un reato.

Oltre all’area lucana e cumana, si segnala la presenza di un’iscrizione in lingua osca in alfabeto latino anche a Casacalenda (CB), in piena Frentania (ovvero in una regione del Sannio che, attualmente, è da identificarsi all’incirca con la parte del Molise e dell’Abruzzo che scende verso l’Adriatico). In questo caso, la presenza di questo testo è da ricondursi all’influenza della vicina colonia latina di Luceria che ha favorito una precoce diffusione di questa grafia nell’area, come appare evidente anche dalle monete rinvenute a Larino (CB), distante solo pochi chilometri da Casacalenda.
Per quel che riguarda la cronologia di attestazione della grafia latina, sulla base dei rinvenimenti attuali, va precisato che essa, a differenza della grafia a base etrusca, ma analogamente a quella di matrice greca, non presenta documenti databili oltre la “guerra sociale” del 90-89 a.C..
Infine, il ductus della grafia è, a differenza dell’osco-etrusco, ma analogamente a quello osco-greco, destrorso.


Supporti, contenuti, modi e strumenti della scrittura

Per quel che riguarda i supporti di scrittura, va detto che, fermo restante la possibilità, purtroppo non documentabile con certezza, d’impiego di materiali (e/o oggetti) non pervenuti fino a noi a causa della loro deperibilità, quali il legno, la stoffa, i principali supporti per la scrittura di cui abbiamo testimonianza certa d’utilizzo sono:

  • la ceramica;
  • la pietra e il marmo;
  • il metallo (piombo, bronzo, argento, oro).

Tra di essi, i supporti più diffusi sono sicuramente i primi due non solo per la facile reperibilità, ma anche per la maggiore versatilità e fruibilità. La ceramica, infatti, vista la facilità di trasporto, era generalmente impiegata per apporre iscrizioni di dedica e/o di possesso e persino bolli, qualora venisse utilizzata come contenitore di mercanzie. Le tecniche principali utilizzate per questo supporto variavano dall’incisione alla graffitura fino ad arrivare all’impressione.
La pietra, invece, vista la maggiore consistenza e resistenza, veniva generalmente impiegata per apporre iscrizioni votive, sacre, funerarie, di dedica, di carattere istituzionale, mentre su marmo, per motivi generalmente legati alla solennità dell’evento o dell’azione, si apponevano, per lo più, iscrizioni ufficiali di carattere politico-istituzionale, ed iscrizioni di carattere votivo e sacro. Contrariamente a quanto si possa pensare, in alcuni casi, le iscrizioni su materiale lapideo non venivano solo incise, ma anche dipinte e questo poteva avvenire quando si voleva comunicare un messaggio meno solenne e, dunque, concepito per motivi diversi dalla precisa volontà di eternare quanto scritto, quale poteva essere quello rappresentato, ad esempio, dai testi di propaganda politica di cui abbiamo traccia sui muri di Pompei.
La scrittura su metalli preziosi era più rara in ragione della natura del supporto. Di conseguenza, essa veniva impiegata solo per redigere testi particolari di carattere sia istituzionale che religioso, o per impreziosire ulteriormente manufatti di valore. Per la prima funzione, tra i metalli, particolarmente privilegiato era il bronzo, utilizzato per contenere testi normativi, religiosi e giuridici, oltre che dediche votive. Per la seconda funzione, fermo restante l’impiego anche del bronzo, si registra anche l’uso dell’oro, specialmente in manufatti, come mostrano gli anelli aurei con scrittura osca sia dall'antica Capua che da Isernia. Il metallo, però, veniva anche usato per coniare monete. In misura maggiore l’argento ed il bronzo ed in misura minore l’oro, vengono ad essere il supporto ideale per le legende monetali che, infatti, risultano redatte nelle varie basi grafiche dell’osco.
Infine, per le defixiones veniva impiegato esclusivamente il piombo, metallo che, per la sua duttilità, bene si presta all’incisione e ad un tipo di scrittura informale ed è possibile, ma non documentato che, analogamente a quanto avviene per il greco, il piombo fosse usato anche per altri tipi di comunicazione (ad es. lettere etc.)


L'osco fuori d'Italia

L’alfabeto osco presenta attestazioni anche fuori d’Italia a testimonianza del fatto che le popolazioni parlanti osco si muovevano attraverso il Mediterraneo portando, ovviamente, con sé anche la propria lingua. Tuttavia, i testi in nostro possesso non testimoniano che l’osco si fosse impiantato fuori Italia, trattandosi di oggetti di esportazione. Infatti, in questo senso, abbiamo ben due esempi di cui uno a base greca e l’altro a base etrusca. Il primo è rappresentato da un kantharos cesellato in argento rinvenuto ad Alesia, recante, presumibilmente, una firma d’artigiano (μεδα(τιες) αραγε(τασις)) e proveniente da un luogo dell’Italia meridionale (Lucania secondo alcuni e Sicilia secondo altri) in cui l’osco veniva scritto in alfabeto greco. Il secondo, invece, è rappresentato da un bollo, apposto sul coperchio di un’anfora ritrovata sul fondo del mare davanti alle coste di Anthéor in Provenza, con cui si può avere un’idea dei rapporti tra gli ambienti italici e la Provenza dal momento che, su di esso, si legge il nome della gens Lassia, diffusa in Campania.
Comunque, al di là di queste testimonianze, generalmente, quando la popolazione di lingua osca viaggiava, era solita scrivere o in greco o in latino come ben ci dimostrano anche alcune dediche rinvenute a Delo.