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La trasmissione della scrittura all’area falisca è avvenuta piuttosto precocemente, tramite la mediazione degli Etruschi, ed ha accomunato nelle prime fasi anche la vicina area capenate, nella quale si parlava un dialetto di probabile matrice sabina.
La cronologia della trasmissione risale al più tardi alla fine del VII secolo a.C., come dimostrano le più antiche testimonianze note, ma va probabilmente rialzata almeno alla metà del secolo, in considerazione di alcuni fenomeni grafici già sviluppati nei primi testi disponibili.
L’epoca è la stessa della codifica della scrittura latina (se si eccettua la testimonianza isolata dell’olletta di Osteria dell’Osa), ma deriva da un filone del tutto indipendente. Recenti ipotesi permettono di riconoscere al centro di Narce un ruolo importante nella promozione e diffusione della scrittura nell’area falisca e capenate (Maras, in corso di stampa).
Il modello alfabetico utilizzato per la trascrizione del falisco è il medesimo in voga per l’etrusco, ma completo dei segni per le occlusive sonore (G - D: la B non risulta finora documentata) e della O – che nell’etrusco non erano necessarie – e privo dei segni per le aspirate (χ θ φ), salvo poche eccezioni, di regola recenti, dovute con ogni probabilità all’influenza della lingua etrusca.
La forma delle lettere richiama più facilmente la tradizione grafica veiente (la più vicina dal punto di vista geografico) e in seconda battuta ceretana: in particolare va notata la forma della S a quattro o più tratti, tipica della scrittura di Veio.
L’influenza etrusca è inoltre visibile nell’uso del gamma (C) per segnare sia l’occlusiva sorda /k/ (in alternativa al kappa), sia quella sonora /g/ – similmente al latino –, e nell’uso del qoppa (Q) di fronte ai suoni /o/ e /u/. Al contrario, il rifiuto del digamma, a vantaggio della semplice U anche in posizione antevocalica, è un tratto che distingue la scrittura falisca da quella etrusca.
Per finire, una particolarità unica della scrittura falisco-capenate è il segno a freccia (↑), utilizzato per indicare la spirante labiodentale /f/ sin dalle più antiche attestazioni e rimasto tenacemente in uso nell’epigrafia falisca fino alla romanizzazione. L’introduzione del segno risolveva precocemente il problema del suono mancante, per il quale l’etrusco ricorse, ancora per quasi tutto il VI secolo a.C., al digrafo hv (o in alternativa vh).
La F a freccia, la S multilineare e qualche sporadica presenza delle occlusive aspirate etrusche (theta, chi e phi, per influenza dell'etrusco) sono le principali differenze originarie della scrittura falisca rispetto a quella latina; ma le divergenze aumentano con il passare del tempo, per la mancata adesione alle riforme tardo-arcaiche dell'alfabeto latino, come la direzione destrorsa della scrittura e la forma di M a quattro tratti. Va invece rilevata l'evoluzione della R verso la forma bicaudata della scrittura latina, già nel IV secolo a.C.
La sequenza alfabetica d’uso può essere ricostruita come segue:
a (b) c d e z h i k l m n o p q r s t u f
La direzione della scrittura è di regola da sinistra verso destra, ma in alcuni graffiti vascolari si osserva spesso anche la direzione opposta.
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