Mnamon

Antiche scritture del Mediterraneo

Guida critica alle risorse elettroniche

Etrusco

- VIII-I secolo a.C.

a cura di: Daniele F. Maras      DOI: 10.25429/sns.it/lettere/mnamon048
Ultimo aggiornamento: 9/2022


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Lamina A di Pyrgi. Fine del VI secolo a.C.


La scrittura etrusca è la più antica tra quelle delle popolazioni dell'Italia pre-romana e la storia della sua formazione si riallaccia direttamente con la nascita delle scritture alfabetiche occidentali, codificate a partire dal modello fenicio attraverso la mediazione greca.

In realtà si può dire che la scrittura sia giunta in Italia assieme ai coloni greci, che hanno portato con sé l’alfabeto sin dal loro arrivo sul suolo italiano nella prima metà dell’VIII secolo a.C. Da Pythekoussai e poi da Cuma in Campania, la scrittura si è rapidamente diffusa presso gli Etruschi, primi partners commerciali italiani dei Greci, attraverso il contatto diretto tra gruppi aristocratici etruschi e le élites coloniali.

L’alfabeto arrivò in Etruria assieme all’ideologia del simposio ed ai fermenti culturali ed artistici provenienti dal vicino Oriente, facendo sì che la scrittura sia fra tutti il fenomeno più caratterizzante della cosiddetta epoca Orientalizzante.

L’alfabeto greco, nella sua variante euboico-calcidese, in uso presso i più antichi coloni della Campania, in un primo tempo fu adottato dagli Etruschi integralmente, comprendendo anche le lettere della serie fenicia inutilizzate dalla scrittura greca e quelle non necessarie alla trascrizione della lingua etrusca. Di fatto si può dire che fino alla prima metà del VI secolo a.C. le scritture in uso in Italia (greca, latina, etrusca ed italiche) facevano uso di un medesimo modello alfabetico, ben esemplificato da quello trascritto sulla tavoletta di Marsiliana d’Albegna.

Le esigenze della lingua etrusca, diverse da quelle del greco, imposero però una selezione dei segni d’uso che escludeva le occlusive sonore (beta e delta) e la vocale /o/. Il gamma, invece, venne utilizzato nella scrittura in alternativa a kappa e qoppa per segnare l’occlusiva velare sorda /k/.

In un secondo tempo, l’esistenza di due diverse sibilanti (pronunciate come la /s/ di “seme” e la /sc/ di “scena”) rese necessario recuperare il segno fenicio del tsade, in contrapposizione al sigma.

Per notare la spirante labiodentale /f/, assente nella scrittura greca, si fece uso dapprima del digramma vh o hv, per poi introdurre un nuovo segno a forma di 8.

La serie alfabetica d’uso dell’etrusco, depurata alla metà del VI secolo a.C. dai segni inutilizzati nella scrittura, era grossomodo la seguente:

a  c  e  v  z  h  θ  i  k  l  m  n  p  ś  r  s  t  u  χ  φ  f

 

Ma in realtà, nelle diverse regioni dell’Etruria, furono adottati sistemi grafici diversi: per esempio in area settentrionale si usava il solo kappa per la velare sorda /k/, mentre il tsade segnava la /s/ semplice ed il sigma quella marcata /š/; a Sud di Vulci e Orvieto, invece, le sibilanti erano invertite (sigma per /s/ e tsade per /š/) e, dopo un periodo di coesistenza di c - k - q, si preferì utilizzare il solo gamma; nella sola Caere, infine, che apparteneva al gruppo meridionale, il tsade fu sostituito dal sigma a quattro tratti.

Con il passare del tempo, l’evoluzione della scrittura etrusca comportò l’introduzione di nuove varianti per i segni (per esempio il theta a circolo vuoto ovvero a croce, la sparizione del codolo inferiore di alcune lettere o la forma curva dei tratti obliqui), senza modificare eccessivamente la sequenza alfabetica e senza stravolgere il sistema scrittorio.

Dal punto di vista della lingua, la cosiddetta epigrafia etrusca recente, a partire dal V secolo a.C., si distingue da quella arcaica per il fenomeno della sincope, a causa del quale le vocali dopo l’accento si indeboliscono nella pronuncia e non vengono trascritte, originando grafie come Menrva rispetto a Menerva (nome di dea) o turce rispetto a turuce (verbo di dono).


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