Mnamon

Antiche scritture del Mediterraneo

Guida critica alle risorse elettroniche

Elimo

- V sec. a.C.

a cura di: Laura Biondi    DOI: 10.25429/sns.it/lettere/mnamon053
Ultimo aggiornamento: 2/2024


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Kylix attica a v.n. dalla necropoli di Monte d'Oro di Montelepre, sec. V a.C., con iscrizione graffita in lingua elima (IAS n. 319): αταιτυκαιεμι


Con il glottonimo 'elimo' viene designata la lingua in cui è redatto un corpus quantitativamente non esteso di testi provenienti dall’area nord-occidentale della Sicilia, che la storiografia antica - greca e romana - ricorda come zona di insediamento degli Elimi (gr. Ἔλυμοι, come i Greci designano questi βάρβαροι di Sicilia, cfr. Thuc. VI, 2.3 e 6; Dion. Hal. I, 53.1), e in particolare da due delle città più importanti di questo ethnos anellenico, Segesta ed Erice.

Altrettanto limitate sono la cronologia e la natura dei testi scritti che costituiscono tale corpus, i quali, fra l’altro, sono brevi, per lo più incompleti e caratterizzati da un elevato grado di formularità. L’elimo è infatti documentato da iscrizioni databili entro il sec. V a.C. ed appartenenti a due sole tipologie testuali: graffiti vascolari essenzialmente a carattere votivo, provenienti per la gran parte da Segesta ma anche da altri centri dell’area elima come Monte d'Oro di Montelepre, Monte Castellazzo di Poggioreale ed Entella, e legende su monete coniate dalle zecche di Segesta e di Erice. Alla prima tipologia può essere ricondotta, recentemente rinvenuta fra i materiali di magazzino (Agostiniani - de Cesare - Landenius Enegren 2014; Landenius Enegren 2017) un’iscrizione incisa prima della cottura su una piramidetta fittile (un peso da telaio) attribuibile allo scarico di Grotta Vanella (ora n. *444 in L. Agostiniani, "Iscrizioni anelleniche di Sicilia. Le iscrizioni elime Appendice 1978-2020", Roma-Bristol, L’”Erma” di Bretschneider, 2022; da ora in poi Appendice).

L’idioma in cui sono state redatte le iscrizioni vascolari, quella incisa a crudo sul peso da telaio e le legende monetali appartiene alla famiglia linguistica indoeuropea e vi è oggi ampio accordo tra gli studiosi nel ritenerlo un rappresentante del gruppo italico e nel preferire questa affinità genetica a quella con il gruppo anatolico.

L'alfabeto usato per rappresentare graficamente la lingua encorica è di tipo greco arcaico e tale scelta è culturalmente marcata. Essa testimonia infatti, sul piano linguistico, l’intensità del contatto e gli effetti di quel processo di acculturazione che fin dal sec. VI a.C. vede coinvolte anche nella Sicilia nord-occidentale genti indigene e Greci. Tra le componenti grecofone stanziali è probabilmente quella insediata a Selinunte ad aver offerto agli Elimi il modello per un sistema alfabetico in grado di notare, con adattamenti dovuti alle peculiarità fonetico-fonologiche dell’idioma anellenico, i propri documenti scritti.

Per esigenze di sintesi, la bibliografia consultabile nella sezione omonima di questa scheda accoglie essenzialmente contributi di carattere linguistico-epigrafico e non dà conto di quelli anteriori al 1977, anno di pubblicazione della monografia di L. Agostiniani, "Iscrizioni anelleniche di Sicilia, I. Le iscrizioni elime" (Firenze, Olschki, da ora in poi IAS I), che quelli elenca in ampia misura alle pp. XV-XX. Tiene conto inoltre della bibliografia premessa alla monografia in cui L. Agostiniani aggiorna la documentazione epigrafica raccolta in IAS I e che, relativa ai rinvenimenti posteriori al 1978, confluisce ora nel volume "Iscrizioni anelleniche di Sicilia. Le iscrizioni elime Appendice 1978-2020", pp. XV-XXVI.

Comunque, tra i contributi di carattere storico-culturale v. almeno G. Libertini, in "Enciclopedia Italiana di Scienze, Lettere ed Arti" XIII, Roma 1932, p. 807, s.v. Elimi; J. Bovio Marconi,"El problema de los Elimos a la luz de los descubrimientos recientes", in "Ampurias" XII, 1950, pp. 79-90; G.K. Galinski, in "Enciclopedia Virgiliana" II, Roma 1985, pp. 198-199, s.v. Elimi; G. Nenci, "Per una definizione dell'area elima", in G. Nenci et alii (a cura di), "Gli Elimi e l'area elima fino all'inizio della prima guerra punica. Atti del Seminario di Studi, Palermo - Contessa Entellina, 25-28 maggio 1989", in "Archivio Storico Siciliano" s. IV, XIV-XV, 1988-1989, pp. 21-26; Id., "L'etnico Ἔλυμοι e il ruolo del panico nell'alimentazione antica", in "ASNSP" s. III, XIX, 1989, pp. 1255-1265; Id., in "Enciclopedia Italiana di Scienze, Lettere ed Arti" append. V, Roma 1992, pp. 82-83 s.v. Elimi; V. Tusa, "Aspetti storico-archeologici di alcuni centri della Sicilia occidentale", in "Kokalos" III, 1957, pp. 79-83; Id., "L'irradiazione della civiltà greca nella Sicilia occidentale", in "Kokalos" VIII, 1962, pp. 153-166; Id., "Problemi presenti e futuri dell'archeologia nella Sicilia occidentale", in "Rivista dell'Istituto di Archeologia e Storia dell'Arte" XIII-XIV, 1966, p. 207-220; Id., "La questione degli Elimi alla luce degli ultimi rinvenimenti archeologici", in "Atti e Memorie del I Congresso Internazionale di Miceneologia", III, Roma 1968-1969, pp. 1097-1120; Id., "Segesta e la questione degli Elimi", in "Sicilia Archeologica" VI, 1969, pp. 5-10; Id., "La problematica storico-archeologica", in S. Tusa - R. Vento (a cura di), "Gli Elimi", Trapani 1989, pp. 17-42; S. De Vido, "Gli Elimi. Storie di contatti e di rappresentazioni", Pisa 1997; Ead., "Gli Elimi", in P. Anello et alii (a cura di), "Ethne e religioni nella Sicilia antica. Atti del Convegno (Palermo, 6-7 dicembre 2000)", Roma 2006, pp. 147-179; C. Ampolo, “Compresenza di ethne e culture diverse nella Sicilia occidentale. Per una nuova prospettiva storica”, in F. Berlinzani (a cura di), “Convivenze etniche, scontri e contatti di culture in Sicilia e Magna Grecia”, in “Aristonothos. Scritti per il Mediterraneo antico” 7, Trento 2012, pp. 15-57; R. Giglio (a cura di), “Il Parco Archeologico di Segesta. Guida/Guide”, Roma-Bristol 2021; dal volume (a cura di C. Ampolo), “La città e le città della Sicilia antica”, Roma 2022, i contributi di C. Ampolo - M.C. Parra, “Segesta: organizzazione civica e spazi urbani” e di C. Ampolo - A. Corretti - R. Guglielmino - C. Michelini - M.C. Parra - M.A. Vaggioli, “Entella: aspetti della forma urbana. Dati materiali e ipotesi di lavoro”; H.P. Isler, “Iaitas (Monte Iato), città ellenizzata nell’interno della Sicilia occidentale” nel volume (ed. C. Ampolo), “La città e le città della Sicilia antica”, Roma 2022.
Agli studi segnalati selettivamente si aggiungano anche le voci Segesta, Erice, Rocca d'Entella in G. Nenci - G. Vallet (a cura di), "Bibliografia Topografica della Colonizzazione Greca in Italia e nelle isole tirreniche", Pisa-Roma (i 21 volumi, 1977-2012, sono stati oggetto di un progetto di digitalizzazione e sono stati inclusi nel portale 'Persée' grazie ad un accordo con la Scuola Normale Superiore, il cui Laboratorio SAET, ne renderà disponibile una versione aggiornata, sotto il coordinamento scientifico di G. Adornato, C. Ampolo e A. Magnetto). D'obbligo il rinvio anche alla recente edizione delle epigrafi latine e greche di Segesta a cura di Carmine Ampolo – Donatella Erdas, Inscriptiones Segestanae (Pisa 2019), nonché agli atti dei 'Congressi Internazionali di Studi sulla Sicilia antica' (editi nella rivista "Kokalos") e quelli delle 'Giornate Internazionali di Studi sull'Area elima' organizzate dalla Scuola Normale Superiore di Pisa a partire dal 1991 e fino al 2012 ("La Città e le città della Sicilia antica", 'Ottave Giornate Internazionali di Studi sull’area elima e la Sicilia occidentale nel contesto mediterraneo', Pisa, Scuola Normale Superiore 18-21 dicembre 2012), dopo l'esperienza del 'Seminario di Studi' del 1989 dedicato a "Gli Elimi e l'area elima fino all'inizio della prima guerra punica". In corso di stampa sono gli atti del convegno “Oltre gli Elimi”, organizzato dal parco archeologico di Segesta e tenutosi ad Erice nell’aprile 2021.

Fra le iniziative editoriali più recenti va ricordata la rivista “Elymos. Quaderni del Parco Archeologico di Segesta” (Roma, “L’Erma” di Bretschneider), nel cui primo numero (1, 2022), fra molti altri contributi, si segnalano R. Giglio Cerniglia, “Segesta, attività di ricerca scientifica 2020/2021”, Ead., “Parco Archeologico di Segesta: un progetto culturale-territoriale”, e M. de Cesare - R. Giglio Cerniglia, “I volti del sacro nella Segesta elima: spazi, riti, oggetti”; nel secondo (2, 2023) si segnala il contributo di C. Ampolo, “Gli Elimi nella Sicilia antica: una rivisitazione”.

Di particolare interesse anche i cataloghi delle mostre “Da un'antica città di Sicilia. I decreti di Entella e Nakone, Mostra Archeologica e Documentaria” (dir. scient. C. Ampolo, M.C. Parra), Pisa, Scuola Normale Superiore (14 dicembre 2001-14 febbraio 2002); “Sicani Elimi e Greci. Catalogo della mostra, Palermo 2002”, Flaccovio 2002 (con il contributo di C. Ampolo, “Entella. I decreti ritrovati e le popolazioni della Sicilia antica”), a cui si aggiungono le due tenutesi nel 2021, “Alle origini della Sicilia. La terra e le città degli Elimi: materiali da Entella e Segesta” promossa in collaborazione con la Scuola Normale di Pisa e curata da C. Ampolo, A. Magnetto, M.C. Parra, e “I volti del sacro nella Segesta elima: spazi, riti, oggetti” curata da M. de Cesare e R. Giglio e promossa in collaborazione con l’Università di Palermo.


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Indice dei contenuti

Il corpus elimo

L’elimo è documentato sostanzialmente da due soli tipi di testi scritti per i quali è da escludersi la pertinenza linguistica all’attico o alla varietà di greco in uso presso la componente ellenofona stanziale: legende monetali, attestate su monete coniate a Segesta e ad Erice, e graffiti su ceramica, a cui si è da poco aggiunta l’iscrizione incisa su piramidetta fittile, rinvenuti in netta prevalenza a Segesta e più recentemente anche in altri siti dell’area elima come Montelepre (necropoli di Monte d'Oro), Monte Castellazzo di Poggioreale ed Entella (necropoli A). Tale scarsa varietà tipologica, unitamente all’esiguità quantitativa del corpus documentario (per quanto accresciuto dopo il 1978 di 73 documenti epigrafici, ora raccolti in L. Agostiniani, Appendice, pp. 7-36) e all’elevata formularità esibita dai suoi testi - oltremodo brevi e in gran parte dei casi anche lacunosi -, comporta per l'elimo i problemi esegetici caratteristici di una lingua di frammentaria attestazione (Restsprache).


I) Le legende monetali

Diversamente dai graffiti ceramici segestani, rinvenuti ed editi a partire dagli anni Sessanta del Novecento, le iscrizioni su moneta sono conosciute fin dal sec. XIX. Incluse e pubblicate in raccolte epigrafiche ed in cataloghi di collezioni museali, esse sono state per prime oggetto di studio, in prospettiva sia eminentemente numismatica (come, ad esempio, nei lavori di F. Imhoof-Blumer, B.V. Head, A. Holm) sia linguistica. In questo àmbito specifico, è d'obbligo ricordare il contributo fondamentale di K.F. Kinch, "Die Sprache der sicilischen Elymer" apparso nella "Zeitschrift für Numismatik" XVI, 1888 (pp. 187-207), le pagine presenti in "The Prae-Italic Dialects of Italy" di R.S. Conway, J. Whatmough, S.E. Johnson (London 1933, vol. II.3, pp. 431-500) e, ponendo agli anni Cinquanta il termine di questa fase di ricerca, la monografia di U. Schmoll, "Die vorgriechischen Sprachen Siziliens" (Wiesbaden 1958). A queste fonti vanno aggiunti IAS I e Appendice, pp. 65-67.

Segesta ed Erice sono le sole città dell’area elima la cui fisionomia politica, culturale e linguistica si esprime anche attraverso le emissioni monetali: le legende affermano infatti mediante l’etnico l’appartenenza della moneta alla collettività “dei Segestani” e “degli Ericini” e, dunque, palesano l’istanza autoidentitaria delle rispettive comunità (che nel caso di Erice dà luogo anche a monetazione con legenda punica). Al contrario, Entella, che le fonti storiografiche tarde affermano essere un centro elimo, ha prodotto una monetazione non difforme da quella del resto della Sicilia ellenica e i suoi conii recano unicamente legende in greco.

Nell'area elima è Segesta il centro più importante ed anche quello più aperto a sollecitazioni ed innovazioni, tanto da poter riconoscere a Segesta il ruolo innovatore per l’uso della lingua indigena nelle legende monetali; alla sua influenza si dovrà l’operare della zecca ericina; in ogni caso, per entrambe le zecche l’attività di coniazione in lingua encorica si distribuisce lungo tutto l’arco del sec. V a.C., a partire dal decennio 490-480 a.C. fin quasi alla fine del secolo, con un numero di esemplari noti nettamente superiore per Segesta rispetto a quelli riferibili ad Erice.

Le legende monetali elime (sia destrorse, sia sinistrorse) esibiscono alcune varianti - a Segesta maggiori che ad Erice - che coinvolgono la scelta del codice linguistico (legende in elimo, legende bilingui in elimo e in greco ciascuna posta su una faccia della moneta, legende in greco) e fatti di ordine morfosintattico e formulare. Questi ultimi riguardano la presenza o meno del verbo εμι “(io) sono”, che compare solo nelle monete di Segesta e nei graffiti vascolari con la medesima funzione testuale del greco εἰμί nelle formule di possesso, e la selezione di forme diverse della flessione dell’etnico derivato dal nome della città.

L'etnico, che è interessato da variazione fonetica (ΣEΓEΣTA-/ΣAΓEΣTA-; ΙΡΥK(A)-/EΡΥK(A)-) e può presentarsi anche nelle forme abbreviate ΣE, ΣEΓE, ΣEΓEΣT, ΙΡΥ come frequentemente accade in àmbito monetale, è formato con il suffisso indigeno -(α)ζι-. Tale suffisso derivazionale, che ha in -αζι- ed in -ζι- realizzazioni allomorfiche in contesti sintagmatici diversi, è funzionalmente identico ai suffissi -αιο- e -ινο- di EΓEΣTAIŌN ed EΡΥKINŌN (cfr. anche ENTEΛΛINŌN) presenti nelle legende monetali bilingui greco-elime e in quelle in greco di Segesta e di Erice. Sul tema v. L. Agostiniani, IAS I, pp. 124-128 anche per una disamina di interpretazioni divergenti, come quella di R. Arena, "Σεγεσταζιβ", in "Archivio Glottologico Italiano" XLIV, 1959, pp. 17-37; L. Agostiniani 1992, pp. 144-145; su -aio- anche Meiser 2012; soprattutto però resta decisivo, per quanto non considerato dagli studiosi, il contributo autorevole di S. Hurter, "Die Didrachmenprägung von Segesta mit einem Anhang der Hybriden, Teilstücke und Tetradrachmen sowie mit einem Überblick über die Bronzeprägung", Biel 2008, per le legende in elimo e/o in greco sui didrammi di Segesta e per la loro datazione, a cui si aggiungono i lavori numismatici di Rutter 2013 e 2016.

Di -(α)ζι- sono stati suggeriti etimi diversi che vi hanno riconosciuto, ad esempio già a partire da K.F. Kinch ("Die Sprache der sicilischen Elymer" cit., pp. 191-194) e da U. Schmoll ("Die vorgriechischen Sprachen Siziliens" cit., pp. 17-18; Id., "Die Elymer und ihre Sprache", in "Die Sprache" VII, 1961, p. 116; Id., "Neues zu den protosizilischen Inschriften", in "Glotta" XLVI.1, 1968, pp. 194-206), l’esito elimo del formante indoeuropeo *-askii̯o- (da cui deriverebbero anche l’armeno -açi e il licio -azi), oppure il suffisso *-āsio che in latino ha esito -ārius e in osco-umbro -āsio (così M. Durante, "Sulla lingua degli Elimi", in "Kokalos" VI, 1961, pp. 85-86), o ancora quello del suffisso -āti- che forma numerosi etnici diffusi in ambito ligure (così Peruzzi 1988-1989, poi Biondi 1997, pp. 147-148).

Il “quadro di varianti significative” che risulta individuato per le legende in elimo (e per cui v. IAS I, p. 126) vede attestate per Erice le varianti ιρυκαζιβ e ιρυκαζιιβ, per Segesta le varianti σεγεσταζια, σεγεσταζιβ, σεγεσταζιβεμι, σεγεσταζιε, [----]σταζιον. Peraltro, le varianti che sono state finora considerate utili a ricostruire tratti fonologici e morfosintattici dell’elimo sarebbero ulteriormente ridotte alla luce del fatto che, da un lato, la legenda in -ŌN, nota una sola volta, è interpretata come desinenza di genitivo plurale dell'etnico greco (-ων), ricostruito come [εγε]στα{ζ}ιον (v. IAS I, pp. 128-143; Agostiniani 1989-1990, pp. 347-350, 356-357; Id. 1992, pp. 133-134; Appendice, p. 66), dall'altro lato, che la legenda con etnico in -E è ritenuta frutto di errore da parte dell'incisore, che avrebbe confuso quel segno con <Β> angolato, e dunque non parrebbe desinenza del sistema nominale elimo. Va detto, però, che almeno per σεγεσταζιε, il numero di occorrenze su didrammi segestani recentemente censite ha suggerito di riconsiderare l'ipotesi di un errore di incisione, e ciò può indurre a rivedere anche lo statuto della finale -E, isolabile anche in un graffito vascolare (IAS I n. 224), peraltro di lettura incerta (v. al riguardo le fondamentali osservazioni sulle legende e sulla datazione offerte da S. Hurter 2008, pp. 37, 101 nn. 180, 181, di cui non si tiene conto in Appendice, p. 66).

In ogni caso, esclusa -ŌN in quanto desinenza ellenica e lasciando sub iudice la possibilità di aggiungere -E alle desinenze indigene note, resta accertato che nelle legende monetali le varianti formulari identificabili con sicurezza sono tre: l'etnico in -αζιβ (σεγεσταζιβ, ιρυκαζι(ι)β), l’etnico in -αζια (σεγεσταζια) e l’etnico in -αζιβ seguito dal verbo εμι “(io) sono” (σεγεσταζιβεμι). In queste varianti, stante l’identificazione del morfema derivazionale -(α)ζι-, è possibile isolare due desinenze flessive, -β ed -α, e il verbo “essere” flesso alla I persona singolare εμι “io sono“.

In -α di Σε/αγεσταζια si suppone un morfema di nominativo singolare, lo stesso che ricorre nei graffiti vascolari in lingua indigena (v. anche ad II) 'I graffiti vascolari'). La legenda, pertanto, esprimerebbe l’appartenenza della moneta ai Segestani attraverso l’aggettivo derivato dal toponimo al nominativo femminile singolare, probabilmente riferito al nome della moneta stessa, in modo analogo a quanto, benché molto raramente, accade anche in àmbito greco e nel greco di Sicilia (v. IAS I, pp. 142-143).

Quanto a -β, che come elemento funzionale ricorre non solo sulle monete di Segesta e di Erice ma anche nei graffiti (con certezza in IAS I n. 277, forse anche in IAS I n. 323.a l.1), dopo U. Schmoll L. Agostiniani vi ha riconosciuto un morfema di dativo plurale, esito della desinenza indoeuropea di strumentale *-bhi con caduta della vocale finale. Ciò a motivo dell'attribuzione a <Β> del valore di contoide fricativo labiale (presumibilmente /f/ o /Φ/) e non di vocoide (che corrisponderebbe ad un allofono palatalizzato di /a/ esprimente una variante funzionale del nominativo singolare -α, come supposto da M. Lejeune e poi da L. Dubois, v. ad Alfabeto e valori fonetici), né di semivocale (intendendo -β come desinenza di genitivo plurale da tema in -o, con caduta del contoide nasale finale, secondo l'ipotesi di Peruzzi 1988-1989 ripresa poi da Biondi 1997).

Per L. Agostiniani, nelle legende encoriche la desinenza -β di dativo plurale segnala che la moneta “è” possesso delle comunità cittadine, un contenuto semantico che le legende in greco (monolingui o bilingui greco-elime) esprimono attraverso il genitivo plurale (EΓEΣTAIŌN, EΡΥKINŌN) conformemente alla consuetudine più affermata in àmbito linguistico ellenico (ma con pochissimi esempi di associazione del genitivo plurale al verbo “essere”). Ancora, per lo studioso, la desinenza di dativo plurale -β trova il proprio corrispettivo al singolare in quella -αι (con la variante isofunzionale -ααι) che nei graffiti a carattere votivo da Grotta Vanella o dagli altri siti dell’area elima si unisce a temi presumibilmente onomastici e che non manifesta vantaggio (il fatto cioè che il recipiente sia offerto alla divinità “in favore/a vantaggio di X”) bensì possesso, in modo analogo al valore che -β assume nelle legende monetali (v. ad II) 'I graffiti vascolari'). La circostanza farebbe intravedere una ristrutturazione del sistema dei casi operata dall’idioma anellenico, che avrebbe attribuito al dativo il valore di possesso che nel formulario greco modello era veicolato dal genitivo. La desinenza -αι, corrispondente al dativo indoeuropeo *-ai, avrebbe pertanto la medesima funzione testuale che, nelle iscrizioni parlanti in greco, spetta al caso genitivo; d’altra parte, la desinenza -β, laddove si presenta associata al verbo εμι nell’esprimere la medesima funzione, rappresenterebbe una sovraestensione anellenica rispetto all’uso greco, che nelle monete non prevede quasi mai εἰμί.

Le tre varianti riscontrabili nelle legende monetali in lingua elima, -αζιβ, -αζια e -αζιβ + εμι, a loro volta non risultano omogenee né per frequenza d’uso, né per cronologia relativa.

Alla luce degli studi condotti, la forma più antica e la più ricorrente appare essere quella che prevede il solo etnico in -β; essa compare dall’inizio della produzione monetale segestana, nel decennio 490-480 a.C., e permane fino al cessare di questa in lingua indigena, a fine secolo. Questo tipo monetale ‘passa’ anche alla zecca di Erice (i cui conii più antichi presentano legende in greco), proprio per tramite di Segesta, ed è all’origine della legenda ιρυκαζι(ι)β, l’unica nota in elimo per la città. Unicamente a Segesta invece, nella prima fase della monetazione e per pochi decenni a partire dagli anni 465/460 a.C., l'etnico in -αζιβ si presenta anche associato al verbo εμι (e.g. σεγεσταζιβεμι). Ancora soltanto a Segesta, le legende con l'etnico in -αζια compaiono intorno all'ultimo decennio del sec. V a.C. e insieme a quelle in -αζιβ permangono fino alla fine della coniazione in lingua indigena. Agli ultimi decenni del sec. V a.C. sono datati esemplari segestani ed ericini con legenda bilingue, greca su una faccia, elima sull'altra faccia della moneta.

 


II) I graffiti vascolari

I graffiti elimi sono stati apposti dopo la cottura, con direzione della scrittura da sinistra a destra, su vasellame a vernice nera per lo più di importazione attica, ma anche di tipo ionico e di produzione locale, databile (in base alle ricerche più recenti, v. infra) tra gli ultimi decenni del sec. VI a.C. e i primi decenni del sec. V a.C.

La stragrande maggioranza di tale materiale iscritto proviene dallo scarico segestano di Grotta Vanella, come si chiama la grotta che si apre sul versante nord-orientale del Monte Barbaro, sulla cui sommità fin dall’età arcaica si estendeva il centro urbano. In prossimità di Grotta Vanella, lungo il pendio, si trova un ampio deposito di detriti riversati dall’alto in tempi diversi e in rapporto alle fasi di sgombero e di ristrutturazione dell’area orientale dell’acropoli, fra il castello medievale e il teatro. Il deposito è costituito pressoché essenzialmente da frammenti vascolari di fabbricazione indigena o di importazione (misti a terra, elementi architettonici riferibili anche a strutture abitative etc.), probabilmente pertinenti a una o più zone di Segesta, e che è stato scavato a partire dalla fine degli anni Cinquanta e ancora negli anni Settanta. Tempi e modalità della formazione dello scarico non sono ancora del tutto chiari e la scarsità di frammenti ceramici riferibili al sec. IV a.C. (iniziale) non lascia decidere se in questa fase sia da collocarsi l’abbandono definitivo dello scarico da tempo in uso o se, viceversa, questo sia stato prodotto da attività edilizie che hanno interessato la Segesta ellenistica (sul tema v. almeno J. de la Genière, "Una divinità femminile sull'Acropoli di Segesta?", in "Kokalos" XXII-XXIII, 1976-1977, pp. 680-688; Ead., "Ségeste et l'hellénisme", in "MEFRA" XC.1, 1978, pp. 33-49; Ead., "Entre Grecs et non-Grecs en Italie du Sud et Sicile", in AA.VV., "Forme di contatto e processi di trasformazione nelle società antiche. Atti del Convegno di Cortona, 24-30 maggio 1981", Pisa - Roma 1983, pp. 257-272; Ead., "Alla ricerca di Segesta arcaica", in "ASNSP" s. III, XVIII.2, 1988, pp. 287-316; Ead., "Ségeste, Grotta Vanella", in "Atti delle Seconde Giornate Internazionali di Studi sull'Area elima (Gibellina, 22-26 ottobre 1994)", Pisa 1997, pp. 1029-1038).

Tuttavia, negli ultimi decenni è stata avviata una verifica sistematica dei dati archeologici, in termini di tipologia di materiali, datazione, provenienza. Allo stato attuale delle ricerche, ancora in corso, la tipologia del materiale di importazione contempla vasellame di pregio, in genere connesso al consumo del vino e all’uso di unguenti, prodotti cosmetici, etc. proveniente da Corinto, dall’Attica e dalla Grecia orientale. Emerge poi una presenza non trascurabile di specifiche classi vascolari e tipologie funzionali di oggetti che ha indotto a ipotizzare non solo una loro pertinenza al mondo domestico e familiare, ma anche sacrale e l’eventualità che, insieme ad altri reperti di carattere inequivocabilmente votivo (frammenti di pinakes, di bronzi, statuette femminili, etc.), configurino riti sacri collocabili sull’acropoli e forse anche in assenza di strutture architettoniche in quanto condotti all’aperto. La datazione dei materiali ceramici (anche iscritti), nel suo complesso, da un lato consente oggi di confermare i limiti individuati dalle prime ricerche avviate nell’area, cioè un arco temporale che va dal sec. VIII/VII al sec. IV a.C., ma anche di precisare ulteriormente il limite superiore, oggi individuato nell’ultimo quindicennio del sec. VIII a,C., e quello inferiore, fissato agli ultimi decenni del sec. IV a.C. (o poco dopo).
Per questa fase recente delle ricerche archeologiche v. in particolare M. De Cesare, “Lo scarico di Grotta Vanella a Segesta: revisione di un problema”, in S. Fortunelli - C. Masseria (a cura di), “Ceramica attica da santuari della Grecia, della Ionia e dell’Italia. Atti del Convegno Internazionale, Perugia, 14-17 marzo 2007”, Venosa, Osanna, 2009, pp. 639-656; Ead., “Per un riesame della documentazione materiale dello scarico di Grotta Vanella a Segesta”; in C. Ampolo (a cura di), “Sicilia occidentale. Studi, rassegne, ricerche”, Pisa, Scuola Normale Superiore, 2012, pp. 261-274; P. Cipolla, “Sulle ceramiche attiche a figure nere dallo scarico di Grotta Vanella a Segesta: primi dati da una revisione”, in “Mneme. Quaderni dei Corsi di Beni culturali e Archeologia” 2, 2017, pp. 111-129; Ead., “Vasi attici a figure rosse da Segesta: i materiali dello scarico di Grotta Vanella”, in “Cronache di Archeologia” 38, 2019, pp. 415-425; M. De Cesare - B. Bechtold - P. Cipolla - M. Quartararo, “Segesta e il mondo greco coloniale attraverso lo studio delle anfore greco-occidentali da aree sacre: primi dati”, “Thiasos” 9.1, 2020, pp. 349-378.

È opportuno precisare che i materiali iscritti di Grotta Vanella non costituiscono un insieme omogeneo quanto a pertinenza linguistica. La gran parte dei graffiti sono stati apposti su ceramica a vernice nera di importazione attica e la circostanza ha reso (e rende) necessario verificare in via preliminare l'eventuale attribuzione delle epigrafi al dialetto attico, tanto più probabile per quelle che hanno carattere di sigla commerciale (alfabetica o analfabetica, accompagnata da numerale o non). Altrettanto essenziale è poi distinguere le iscrizioni attiche sia dai "graffiti greci", a loro volta comprendenti anche sigle commerciali e da riferirsi ad ellenofoni frequentatori del santuario segestano in quanto anche residenti in città (dediti probabilmente al commercio, attivi come maestranze specializzate nella zecca e nell'edilizia monumentale, finanche legati da vincoli matrimoniali, come lascia inferire Tucidide, VI, 6.2 laddove ricorda unioni miste tra Segestani e Selinuntini), sia da quelli anellenici, cioè i veri e propri "graffiti elimi". È quest'ultima la componente percentualmente più esigua del corpus dei graffiti, ma è anche la sola attraverso cui tentare di ricostruire, con buon grado di verosimiglianza stanti i caratteri peculiari di simile corpus, almeno alcune strutture linguistiche dell'elimo (per questa analisi di "pertinenza attributiva" e per i relativi parametri v. IAS I, pp. 89-101; precedentemente v. L. Agostiniani, "Per una definizione del materiale epigrafico anellenico di Sicilia", in "Studi Etruschi" s. III, XLI, 1973, pp. 388-395; Id., "Criteri per una classificazione dei segni analfabetici nella ceramica segestana", ivi, pp. 396-409; Id. Appendice nn. *379-398).

Laddove la frammentarietà e la dimensione dei reperti lo permettono, le forme vascolari che risultano identificate nello scarico di Grotta Vanella sono principalmente kylikes, lekythoi, skyphoi, coppette, crateri, ma anche lucerne. La collocazione dei graffiti rispetto al supporto ceramico è estremamente differenziata: parete interna, parete esterna, piede, orlo, ansa, fondo interno, fondo esterno sono tra i punti più frequentemente scelti per l’iscrizione (v. IAS I, pp. 6-8). Alla natura e alla limitatezza della superficie a disposizione per i segni alfabetici si deve, tranne pochissime eccezioni, il fatto che quelli si distribuiscano anche su più di una linea. In rari casi, il supporto vascolare reca due distinti graffiti in due diversi punti, come in IAS I nn. 29, 87, 323.a e .b, oppure sulle facce esterna ed interna della superficie, come in IAS I nn. 272, 318 e *371.

Pochi sono i graffiti vascolari attribuibili con buon grado di verosimiglianza all'elimo rinvenuti in altre zone di Segesta: se ci limitiamo alle ricerche archeologiche compiute fino agli anni Settanta (v. però infra per rinvenimenti successivi), queste avevano portato alla luce un unico esemplare (IAS I n. 320) nell’area del tempio dorico; altri frammenti ceramici come IAS I n. 47 erano stati rinvenuti in località imprecisate. In questo stesso torno di tempo, al di fuori di Segesta, solo la necropoli di Monte d'Oro di Montelepre (località 'Manico di Quarara'), probabilmente da identificare con la città sicana di Hykkara, aveva restituito due graffiti, entrambi completi, IAS I n. 319 e n. 283.

Questo corpus di graffiti su ceramica, pubblicato negli anni Sessanta e Settanta in numerosi contributi a firma di V. Tusa (apparsi principalmente nella rivista "Kokalos" VI, 1960; XII, 1966; XIII, 1967; XIV-XV, 1968-1969; XVI, 1970), negli stessi decenni è stato oggetto di studio da parte di linguisti quali G. Alessio ("Fortune della grecità linguistica in Sicilia", in AA.VV, "Atti del I Congresso Internazionale di Studi sulla Sicilia antica", in "Kokalos" X-XI, 1964-1965, pp. 301-310; Id., "Fortune della grecità linguistica in Sicilia I. Il sostrato", Palermo 1970), R. Ambrosini ("Italica o anatolica la lingua dei graffiti di Segesta?", in "Studi e Saggi Linguistici" VIII, 1968, pp. 160-172; Id., "Problemi e ipotesi sulla lingua dei graffiti di Segesta", in "Rendiconti dell'Accademia Nazionale dei Lincei" s. VIII, XXV, 1970, pp. 461-474; Id., "A proposito di una recente pubblicazione sulla lingua dei graffiti di Segesta", in "Studi e Saggi Linguistici" X, 1970, pp. 232-237), R. Arena ("Σεγεσταζιβ", in "Archivio Glottologico Italiano" XLIV, 1959, pp. 17-37), M. Lejeune ("La langue élyme d'après les graffites de Ségeste (Ve siècle)", in "Comptes Rendus des Séances de l'Académie des Inscriptions et Belles-Lettres" CXIII.2, 1969, pp. 237-242; Id., "Notes de linguistique italique, XXV. Observations sur l'épigraphie élyme", in "Revue des Études Latines" XLVII, 1969, pp. 133-183; Id., "A propos, encore, des graffites de Ségeste", in "Studi e Saggi Linguistici" XI, 1971, pp. 223-227; Id., "L'investigation des parlers indigènes de Sicile", in AA.VV., "Atti del III Congresso Internazionale di Studi sulla Sicilia antica" in "Kokalos" XVIII-XIX, 1972-1973, pp. 296-307), O. Parlangèli ("Osservazioni sulla lingua dei graffiti segestani", in "Kokalos" XIII, 1967, pp. 19-29), U. Schmoll (oltre a quelli citati, Id., "Zu den vorgriechischen Keramikinschriften von Segesta", in "Kokalos" VI, 1961, pp. 67-79; Id., "Zu den vorgriechischen Inschriften Siziliens und Süditaliens", in "Kokalos" XL.1, 1962, pp. 54-62), senza dimenticare i contributi precedentemente citati di K.F. Kinch e M. Durante.

Tale corpus epigrafico ha il proprio catalogo di riferimento nella monografia del 1977 di L. Agostiniani, "Iscrizioni anelleniche di Sicilia. I. Le iscrizioni elime" (IAS I), in cui l’analisi linguistica degli aspetti grafici, fonetico-fonologici e morfologici dell’elimo ricavabili dai testi fino ad allora noti, comprese le legende monetali, offre anche una raccolta sistematica dei graffiti, che sono ordinati e distinti in quattro categorie, basate “su criteri di evidenza esterna” (IAS I, p. 8): segni non interpretabili (IAS I nn. 1-3), elementi decorativi (IAS I nn. 4-6), marche, sigle, numerali e simili (IAS I nn. 7-143) e iscrizioni (IAS I nn. 144-323). A questo primo repertorio che consta di 328 documenti, leggibili su 323 supporti ceramici, si è aggiunto un altro gruppo di graffiti rinvenuti nelle campagne di scavo condotte negli anni 1974 e 1975 nel cosiddetto 'scarico di Grotta Vanella' (per cui v. V. Tusa, "Frammenti di ceramica con graffiti da Segesta (VI)", in "Kokalos" XXI, 1975, pp. 214-225) e che sono stati integrati in IAS I con numerazione *324-*347 (marche, sigle, numerali e simili) e *348-*371 (iscrizioni).

A partire dagli anni Ottanta, successivamente alla pubblicazione di IAS I, il corpus dei graffiti vascolari è venuto limitatamente arricchendosi di altre unità, provenienti in gran parte dall'area di Segesta (dal santuario di Contrada Mango, Appendice n. *372, dalle aree del Bouleuterion, Appendice n. *373, dell’Agorà, Appendice nn. *442, *443, del teatro, Appendice n. *375 e ancora da Grotta Vanella, Appendice nn. *376-*378, *399-*434, *444) ma anche da centri diversi dell'area elima, come Monte Castellazzo di Poggioreale nell'entroterra segestano (ora Appendice n. *435), Monte Iato (due frammenti, ora Appendice nn. *437, *438), Entella (ora Appendice nn. *436; *441), Monte d’Oro di Montelepre (l’alfabetario ora Appendice n. *440 e il graffito dalla Tomba XII ora Appendice n. *439).

Quei graffiti editi che non manifestano evidenti caratteri di ellenicità e che possono essere considerati "elimi" appaiono omogenei per datazione, tipo di supporto (ceramica a vernice nera), caratteri e direzione della scrittura, aspetti fonografici e morfologici e schemi formulari, a quanto precedentemente restituito dallo scarico segestano e già raccolto in IAS I. Si tratta di epigrafi vascolari che provengono per lo più dall'area di Grotta Vanella e sono in gran parte edite, mentre altre sono ancora inedite. Quelle edite provengono dall'area di Grotta Vanella (v. Camerata Scovazzo 1989; Agostiniani 1992; Biondi 1992, 1993, 1995, 1997, 1998), ma anche dal santuario suburbano di Contrada Mango, sotto i contrafforti sud-orientali del Monte Barbaro (v. Tusa 1980-1981, pp. 850-851), dall'area 4129 (v. Biondi 2000), dalla zona orientale della summa cavea (saggio A) del teatro di Segesta (ma per questo graffito l'attribuzione all’elimo o al greco resta sub iudice, v. D'Andria 1997, pp. 442-443 n. 3; Biondi 2000). Materiali ceramici graffiti sono stati restituiti anche da altre località dell'area elima quali Monte Castellazzo di Poggioreale (v. Falsone 1988-1989; Calascibetta 1990), Entella (necropoli A, v. Biondi 1992, 1993 n. 10). Di attribuzione linguistica incerta è un frammento rinvenuto a Monte Iato (v. H.P. Isler, "Monte Iato: scavi 1995-1997", in "Terze Giornate Internazionali di Studi sull'Area elima, Gibellina - Contessa Entellina, 23-26 ottobre 1997", Pisa - Gibellina, 2000, II, pp. 715-729, tav. CXLIII, 1-2).

I testi di più recente rinvenimento e pubblicazione sono poco più di venti e sono ascrivibili a due delle categorie individuate entro la documentazione epigrafica di Grotta Vanella: marche, sigle, numerali e simili, e iscrizioni e sono stati raccolti recentemente da Luciano Agostiniani in Appendice.

Allo stato attuale della documentazione, il repertorio dei graffiti ceramici consente di individuare alcune terminazioni ricorrenti e di suggerire possibili valori morfosintattici.

I graffiti attestano una terminazione in -α(α)ι, che ricorre isolata (ad esempio IAS I n. 305: ḥαλενιαι; n. 278: ]ιλααι) oppure associata ad εμι (ad esempio IAS I n. 319: αταιτυκαι εμι; n. 306: ]λενααι εμ[) nelle iscrizioni vascolari anche di più recente rinvenimento (come ατιιαι εμι da Grotta Vanella). Nella desinenza -αι, di cui -ααι sarebbe una variante isofunzionale, viene riconosciuto l'esito indigeno del dativo indoeuropeo *-ai, che nei testi anellenici avrebbe la medesima funzione testuale spettante, nelle iscrizioni parlanti in greco, al caso genitivo (v. Appendice, pp. 76-77); dunque, -α(α)ι corrisponde funzionalmente alla desinenza -β di dativo plurale nota nelle monete di Segesta e di Erice (v. ad I. 'Le legende monetali').

Si riconosce un morfema in -α di nominativo singolare, isolabile anche nella legenda σεγεσταζια oltre che nei graffiti ceramici. In questi ultimi, -α ricorre più spesso associato ad εμι (ad esempio IAS I 292: ]ιονα εμ[; n. 313: ]δουhενα εμι[), ma anche senza tale verbo (ad esempio IAS I n. 320: δ̩̩οϝ̩ενα μυτααι), e qui non pare identificare un nome personale, bensì più verosimilmente un nome comune: tale è, appunto, l’elimo δουhενα di IAS I n. 313, se l’appellativo - con le altre varianti note dai graffiti - è riconducibile alla radice indoeuropea per “dono” *dō/*dōu (v. IAS I, pp. 156-159, anche per interpretazioni diverse). Una terminazione in -α è documentata anche nei graffiti segestani di rinvenimento successivo alla pubblicazione di IAS I, in sequenze probabilmente anelleniche come ]ορτακα in ]ορτακα εμι da Grotta Vanella, per cui è stata suggerita natura antroponimica (e forse anche il ben più esiguo ]α εμ[ι, v. Biondi 2000); per -α in tali sequenze, con l'interpretazione quale desinenza encorica di nominativo singolare, L. Agostiniani 2006 ha avanzato anche l'ipotesi di un genitivo singolare greco per un tema onomastico locale. V. inoltre Appendice, p. 77.

L’analisi dei graffiti permette di isolare anche terminazioni come -οι ed -ει (ad esempio in IAS I n. 275: ατροι e n. 253: ατει?[), in cui studiosi tra cui O. Parlangèli, R. Ambrosini e M. Lejeune hanno supposto morfemi di dativo singolare rispettivamente da tema in -o e da tema in -i o in consonante, funzionalmente omogenei al morfema -αι; v. Appendice, p. 77. Peraltro, è dubbio che possa trattarsi di sequenze in finale assoluta di parola e ciò apre la possibilità che non siano neppure attribuibili all’elimo, ma che siano parole greche (v. IAS I, pp. 159-160).

Quanto ad una terminazione in -ι, che studiosi come U. Schmoll, M. Durante, G. Alessio, M. Lejeune ritengono possa rappresentare una desinenza di genitivo singolare di tema in -o (e *-io), la problematicità dei contesti di occorrenza - incompleti e di anellenicità non certa - non permette un’attribuzione sicura all’elimo; L. Agostiniani (v. IAS I, pp. 160-162; Appendice, p. 77), almeno per IAS I n. 285 e n. 232 e seguendo un’ipotesi formulata da R. Ambrosini, pensa ad ιμι come ad una forma verbale in *-mi, variante di εμι “(io) sono” in virtù di quell’alternanza e-/i- che coinvolge anche il nome di Erice nelle tradizioni linguistiche ellenica (Ερυκ-) ed elima (Ιρυκ-).

Altrettanto incerta è l'esistenza di una finale in -ε, che ricorre in un graffito segestano (IAS I n. 224; v. Appendice, p. 78) e le cui occorrenze nella monetazione sono state recentemente riconsiderate (v. ad I. 'Le legende monetali').

Appare invece individuabile con maggior grado di sicurezza una finale in -ρ (cfr. IAS I nn. 186, 251, 288, 316), che potrebbe rappresentare una marca di nominativo singolare associata a temi distinti quali -αρ, -ερ, -ιρ (v. IAS I, pp. 163-165; v. Appendice, p. 78). Per la sequenza ανκδερ del graffito IAS I n. 288, M. Lejeune ("Notes de linguistique italique, XXV. Observations sur l'épigraphie élyme", in "Revue des Études Latines" XLVII, 1969, pp. 1133-188, in part. pp. 164-165) ha suggerito il confronto con la forma libica, non attestata, *NKDR, di cui il graffito segestano sarebbe la resa grafica in caratteri alfabetici elimi. Possibile anche una finale -ν, per cui v. Appendice n. *433.

Per le terminazioni -β e -ε v. ad I. 'Le legende monetali'.

In testi relativamente più estesi è dato isolare sequenze che, come per σαριτυ, nuove acquisizioni epigrafiche consentono di illuminare nel loro contenuto semantico e nella loro pertinenza etimologica. Michel Lejeune (1970) vi ha visto una base lessicale italica, forse comune anche all’antroponimo Σαρις di Selinunte, da ricondurre alla radice *ser- al grado ridotto e da collegare all’umbro seritu delle Tabulae Iguvinae. In Appendice, pp. 78-80 l’interpretazione a suo tempo offerta dal Lejeune per le forme del termine testimoniate in IAS I nn. 316, 321 e 323.b viene recuperata e accolta alla luce delle due nuove iscrizioni, quella su piramidetta fittile con σαριτυ… (*444) e quella con σαρ… iniziale (*423), che contribuiscono ad acclarare la pertinenza della forma linguistica imperativale (-tōd) al lessico delle pratiche religiose e usata nella piramidetta in un contesto di invocazione (“veglia su”, “proteggi”).


Alfabeto e valori fonetici

L’adozione dell’alfabeto greco per notare testi in lingua indigena è opzione culturalmente significativa che esprime la volontà collettiva dell’ethnos elimo di far propri modelli linguistico-testuali ellenici. In questo senso, l’uso di un alfabeto ellenico arcaico da parte delle comunità elime in documenti di carattere pubblico (le monete segestane ed ericine) e privato (i graffiti su vasi) comprova oltre ogni ragionevole dubbio la profondità e la pervasività del fenomeno di acculturazione greca che ha investito, almeno a partire dal sec. VI a.C., i centri della Sicilia nord-occidentale e che per questi stessi centri (Segesta in primo luogo) è ampiamente documentato in numerosi altri àmbiti della vita materiale e culturale encorica.

La scelta del sistema di scrittura da parte delle città dell’ethnos elimo non è dunque da considerarsi estranea alle dinamiche dei rapporti politici, culturali e commerciali con le poleis greche di Sicilia. Di queste, è verosimilmente Selinunte la città che ha fornito l’alfabeto modello per quello attestato nei documenti encorici.

Tale ruolo non è posto in discussione neppure dal fatto che alcuni graffiti esibiscono caratteri alfabetici non riconducibili al modello segestano e sono possibile spia della frequentazione del santuario da parte di Greci non selinuntini, come lascia supporre l'attestazione di heta del tipo chiuso (che può rappresentare /h/) e di alpha a freccia in una sequenza di probabile natura antroponimica e greca (IAS I n. *256), che ricordano tipi grafici della Sicilia orientale o centrale. E d'altra parte non si esclude che singole, specifiche scelte grafiche siano state mutuate da modelli diversi da quello selinuntino. È comunque Selinunte, più di altri centri della Sicilia greca geograficamente vicini, a promuovere tra la fine del sec. VI a.C. e gli inizi del sec. V a.C. l'ellenizzazione di Segesta e del suo entroterra, così che non stupisce - ed è opinione pressoché unanimemente condivisa tra gli specialisti (v. IAS I, pp. 107-122; Agostiniani 1988-1989, pp. 353-359; 2000; 2006; Appendice, pp. 50-54; diversamente M. Lejeune, "Notes de linguistique italique, XXV. Observations sur l'épigraphie élyme", cit., pp. 148-159) - che abbia matrice selinuntina anche l'alfabeto in cui sono redatte le iscrizioni elime, riflesso linguistico del più ampio debito culturale che Segesta manifesta nei confronti di Selinunte.

A comprovarlo, del resto, sono l'affinità e in alcuni casi l'identità formale tra i segni nei due alfabeti selinuntino ed elimo, come si rileva per sigma e per rho nelle rispettive varianti, identiche a Segesta, Erice e Selinunte (v. IAS I, pp. 118-122; ma soprattutto Agostiniani 1988-1989, pp. 353-354), circostanza che ha fatto supporre che tendenzialmente - pur con alcune situazioni 'speciali' - quei segni alfabetici esprimano valori fonici dell'elimo uguali o affini a quelli del greco.

In tale prospettiva ancor più vale la presenza nei graffiti elimi (non nelle legende monetali) di un beta a forma di simbolo che ricorre a Selinunte per notare /b/ e qui, probabilmente, è di matrice megarese. Questo beta, che la corrispondenza tra simboloοτυλ- dei graffiti elimi ed il tema onomastico BOTUL- documentato anche nella grande defixio selinuntina conforta nel considerare anche a Segesta resa grafica di /b/, coesiste qui con un beta del tipo 'normale' (angolato e canonico nell'epigrafia ellenica e anellenica della Sicilia arcaica), che ricorre fra l'altro in -β dell'etnico nelle legende monetali segestane ed ericine.

Sull'attribuzione del valore fonetico a questo segno l’esegesi linguistica si è confrontata e divisa, sostenendo per il beta del tipo cosiddetto ‘normale’, pangreco, ora un valore vocalico, ora un valore consonantico.

Numerosi studiosi, tra cui G. Alessio, R. Ambrosini, R. Arena, M. Durante e M. Lejeune, hanno supposto per tale segno alfabetico un valore vocalico. In particolare M. Lejeune, a partire dall'osservazione che in un graffito (IAS I n. 233.a) si riscontrerebbe la correzione di alpha con beta (<Β>) e che nella legenda ericina ιρυκαζιιβ <ιι> rappresenterebbe [ij] e dunque -β ricorrerebbe in un contesto sintagmatico che ammette una vocale e non una consonante, ha suggerito che il beta di tipo angolato (<Β>) renda graficamente un allofono palatalizzato di /a/ per la presenza di una (semi)consonante palatale precedente (v. M. Lejeune, "Notes de linguistique italique, XXXV. Observations sur l'épigraphie élyme" cit., 1969). Ha inoltre supposto che nelle legende monetali segestane le desinenze -α, -ε e -β rappresentino la stessa unità funzionale, il morfema di nominativo femminile singolare -α; in un intervento successivo (v. Lejeune 1988-1989, p. 342), lo studioso ha ipotizzato che la palatalizzazione di /a/ in [æ] avverrebbe in un contesto vocalico chiuso, dato dalla presenza delle vocali /i/ e /u/. Recentemente, L. Dubois (2009) ha ripreso l'ipotesi di M. Lejeune, sulla base del valore fonetico attribuito al segno in una stele del sec. VI a.C., di probabile provenienza selinuntina, che comproverebbe come ancora a quella data l'alfabeto selinuntino contemplasse un epsilon a forma di <Β> pangreco e un beta a forma di simbolo rovesciato.

Favorevole ad un valore consonantico per il beta segestano del tipo ‘normale’ è invece L. Agostiniani, che vi riconosce una fricativa labiale, del tipo /Φ/ o /f/, e che considera spia dell’affinità dell’elimo con il gruppo italico entro la famiglia indoeuropea (IAS I, pp. 139-142; Agostiniani 1988-1989, pp. 364-366; 1992, pp. 144-145; Appendice, pp. 55-60). Agli argomenti addotti da M. Lejeune, lo studioso ha obiettato in varie sedi (dopo IAS I, pp. 115-120, v. Agostiniani 1984-1985, pp. 117-210; 1988-1989, pp. 356-359; 1992, pp. 134-136) che, escludendo -ε dal novero delle desinenze di caso in quanto giudicato il frutto di errore materiale dell’incisore (v. supra), la desinenza -β non è funzionalmente equivalente ad -α e, dunque, -β ed -α sono due morfemi distinti e non rappresentazioni grafiche differenti di una stessa unità morfologica. Obietta inoltre che nella legenda ericina ιρυκαζιιβ <ιι> può rendere anche [ji] e pertanto può ammettere una consonante successiva. A confutare poi la supposta palatalizzazione di <Β> è per L. Agostiniani la sequenza segestana ]τοκυβε[ (IAS I n. 297), in cui <Β> segue un suono di tipo velare (anche nell’ipotesi di una segmentazione ]τοκυβ ε[ del graffito, probabilmente di pertinenza elima, non greca).

Quanto alla compresenza in elimo dei due tipi di beta, quello a forma di simbolo che nota /b/ e quello di tipo ‘pangreco’ estraneo al sistema grafico selinuntino per notare una consonante, L. Agostiniani nel tempo ha suggerito come possibili due spiegazioni. Per la prima (v. IAS I, pp. 117-118), il coesistere dei due tipi di beta sarebbe il riflesso della pressione esercitata dalla tradizione grafica siceliota, che utilizza <Β> per /b/ diversamente da quanto accade a Selinunte; in questa prospettiva, l’uso grafico non selinuntino per esprimere la consonante occlusiva bilabiale sonora tenderebbe ad affermarsi a spese di una situazione ‘eccentrica’ e, perciò, marcata quale quella che a Segesta lo vede anche impiegato per /b/. La seconda - e più recente - interpretazione (v. Agostiniani 1988-1989, pp. 358-359; 1992, pp. 135-136, 1999, pp. 6-7) suggerisce invece che il beta di tipo ‘normale’ rappresenti un suono consonantico di tipo labiale ignoto alla componente ellenofona e diverso da /b/, e che la presenza di quello nell’alfabeto elimo sia da ricondursi ad un’esigenza di ristrutturazione del sistema fonografico promossa dall’ambiente anellenico. Quest'ultimo avrebbe utilizzato il beta di tipo pangreco, estraneo al modello selinuntino e forse importato da un alfabeto siceliota arcaico, per rappresentare graficamente un suono proprio della lingua indigena e per cui l'alfabeto greco non aveva un segno, “qualcosa come una /β/ o una /φ/ o una /f/, presumibilmente, cioè, una fricativa labiale” (così Agostiniani 1988-1989, p. 359).

Proprio con riguardo alle numerose occorrenze di beta nei testi anellenici dell’area sicula come l’anfora di Montagna di Marzo o la stele di Sciri si può pensare a una situazione di ipodifferenziazione grafica in cui (Appendice, p. 59): “con beta che assume, oltre al valore di partenza nell’alfabeto modello, /b/, anche quello della fricativa labiale che, come è noto, è caratteristicamente presente in italico, e per la quale l’alfabeto greco non disponeva di un segno apposito perché tale unità era estranea al sistema fonologico del greco. L’area elima, alfabeticamente acculturata dalla selinuntina, si trovava in una condizione in partenza più favorevole a rispondere ad analoghe necessità di resa grafica: l’impiego, per /b/ di beta selinuntino permetteva di usare B, univocamente, per rendere graficamente un fonema labiale diverso da /b/ (e da /p/), e che, per motivi di verosimiglianza in un quadro di tipologia fonologica, va individuato, anche qui, in una fricativa bilabiale o labiodentale: /φ/ o /β/ o /f/”.

Diversamente, in anni recenti S. Marchesini (1998; 2012), che ha proposto anche una periodizzazione dell'alfabeto segestano in due fasi di cui la più antica data all'incirca dalla seconda metà del VI sec. a.C. e la più recente data dagli inizi del V sec. a.C., ha interpretato alcune delle occorrenze di simbolo nei graffiti vascolari come frutto di lapsus scrittorio (più frequente per grafemi asimmetrici come simbolo) ed ha attribuito al segno il valore di contoide occlusivo bilabiale sonoro. Per questa ipotesi v. ora Appendice, pp. 60-63.

Nei graffiti in lingua elima ricorrono anche i segni per le consonanti occlusive aspirate, phi, theta e khi, che mancano negli alfabeti in uso presso le comunità anelleniche della Sicilia orientale. La circostanza ha un peso non irrilevante anche per l'attribuzione di valori fonetici, stante la diversità che si riscontra nei diversi alfabeti ellenici. Il corpus elimo documenta anche i segni simbolo e simbolo, quest'ultimo noto anche dalle legende monetali come parte del suffisso derivazionale -αζι- e per il quale si è proposto un valore di consonante fricativa o affricata dentale (v. IAS I, pp. 120-122).

Per il resto, i grafi utilizzati nelle iscrizioni corrispondono a quelli noti anche per l'alfabeto selinuntino, e ciò corrobora l'ipotesi che quelli servano a rappresentare suoni uguali o affini al modello greco in uso a Selinunte.

Per la tipologia e per le attestazioni dei segni alfabetici e delle loro varianti v. ora Appendice, p. 48 e ss., che sostituisce IAS I, pp. 112-114.

Come illustra e precisa L. Agostiniani (ibidem): “Rispetto a quello di IAS I, l’inventario presenta un certo numero di differenze. In due casi si tratta di correzioni di dettaglio. Intanto, compaiono due grafemi in meno: omega e chi ‘rosso’ ψ. L’assenza del primo si giustifica per il fatto, trascurato in IAS I, che il segno compare solo nelle leggende monetarie – tarde – in greco, e mai in quelle in elimo. Quanto al secondo, richiamo ora il fatto che chi ‘rosso’ è totalmente estraneo alla matrice selinuntina della scrittura elima, e che nel corpus elimo compare, tra quelle che possono essere iscrizioni vere e proprie, una sola volta …con una finale di sequenza che non pare greca. … Diversa è poi, rispetto a IAS I, la collocazione dei due segni per beta: il segno ny rovesciato occupa, dovutamente, la seconda posizione nella serie alfabetica, mentre per il beta tradizionale B il valore diverso (bilabiale fricativa, e non occlusiva) con cui sembra essere stato assimilato nella scrittura dell’elimo … suggerisce una collocazione in posizione finale della serie (che è quella delle innovazioni rispetto a una preesistente tradizione alfabetica). Infine, per heta ‘aperto’, rispetto a quanto nell’inventario di IAS I, ritengo ora che l’inclinazione verso destra o verso sinistra della barra trasversale che si riscontra in qualche occorrenza del segno sia dovuta a fatti di esecuzione, e che il tipo di riferimento sia solo uno, quello con la traversa posizionata orizzontalmente: che è dunque il solo che compare nell’inventario”.

 

Da Appendice, p. 48 è tratta la tavola proposta nella sezione 'Simboli'.