Mnamon

Antiche scritture del Mediterraneo

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Cuneiforme accadico

- (2350 a.C. - 100 d.C. ca.)

a cura di: Salvatore Gaspa    DOI: 10.25429/sns.it/lettere/mnamon030
Ultimo aggiornamento: 6/2022


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Testo di Zimri-Lim, re di Mari, ca. 1780 a.C., AO 20161, Musée du Louvre, Paris.


Il cuneiforme accadico, in uso nel Vicino Oriente antico dal III millennio a.C. al I secolo dell’era cristiana per rendere la lingua accadica e i suoi dialetti, è un sistema di scrittura sillabico-logografico di circa 600 segni.

 


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Indice dei contenuti

Definizione di "cuneiforme" e tipo di scrittura

Attorno alla metà del terzo millennio a.C. gli scribi accadofoni adottarono per l’accadico il sistema di scrittura cuneiforme proprio del sumerico. Questa scrittura, originariamente predisposta per registrare la lingua sumerica, lingua non semitica di tipo agglutinante, caratterizzata da un’esteso monosillabismo lessicale, è convenzionalmente chiamata dagli studiosi con il termine “cuneiforme” per via della forma dei suoi segni, simili a quelli di un cuneo o chiodo (dal latino cuneus). Che la forma del cuneo o chiodo fosse percepito come l’unità fondamentale di questo sistema scrittorio già dagli scribi mesopotamici è evidente dai termini accadici usati per indicare il singolo segno: santakkum, “triangolo, angolo”, e tikip santakkim, “segno cuneiforme”. La forma del cuneo o chiodo nasce dall’impressione dello stilo di canna sulla superficie ancora umida della tavoletta d’argilla. Un segno cuneiforme può essere costituito da un solo cuneo o da più cunei. I cunei possono essere di tipo orizzontale, verticale, diagonale e a Winkelhaken. Il segno chiamato Winkelhaken si otteneva con un’impressione verticale della punta dello stilo sull’argilla. Il cuneiforme accadico si legge da sinistra a destra. Tuttavia, nelle fasi più antiche della scrittura, dalla fine del IV millennio a.C. fino all'epoca antico-babilonese compresa, i caratteri, organizzati in colonne, venivano letti dall'alto in basso e da destra a sinistra. In progresso di tempo si tenderà a ruotare i segni di 90 gradi a sinistra. Le moderne liste di segni cuneiformi arrivano ad includere circa 600 segni, ma non tutti questi erano usati in ogni epoca storica dell’accadico. Inoltre, il numero dei segni in uso dipendeva dal tipo di documento e dal livello di competenza del singolo scriba: mentre la redazione di testi della tradizione colta, quali i testi di contenuto letterario, religioso e scientifico, poteva richiedere una padronanza di circa 400 o più segni, per la composizione di documenti di carattere pratico e quotidiano come le lettere, i contratti e i testi amministrativi erano sufficienti dai 100 ai 200 segni.


La scrittura cuneiforme e la lingua accadica

A partire dalla metà del terzo millennio a.C. il cuneiforme viene adottato per rendere la lingua accadica. Il fatto che tale sistema di scrittura si trovasse applicato in un contesto culturale bilingue sumero-accadico e che il cuneiforme si fosse evoluto dai primi stadi pittografici come sistema di registrazione fonetica di una lingua agglutinante, ergativa e dai morfemi immodificabili qual’era il sumerico determinò la modalità di resa scritta dell’accadico, condizionando non solo le peculiarità di questa lingua semitica, ma anche la possibilità di una sua conoscenza approfondita da parte dello studioso moderno. In quanto lingua semitica, l’accadico era una lingua flessiva, in cui la radice non era immutabile e agglutinabile, ma modificabile mediante morfemi. La radice accadica è un morfema discontinuo dato da una sequenza di suoni consonantici che si modifica mediante raddoppiamento di consonanti, inserzione di suoni vocalici, aggiunta di prefissi, suffissi e infissi. Nella resa cuneiforme l’accadico presenta le stesse vocali del sumerico (a, e, i, u); le semivocali w e y; le consonanti b, d, g, , k, l, m, n, p, q, r, s, , š, t, z, ṭ­, e il glottal stop ʾ. L’inventario consonantico dell’accadico risulta fortemente condizionato dall’uso del cuneiforme che, ad esempio, non permette di distinguere sorde, sonore ed enfatiche nei gruppi delle consonanti bilabiali, dentali e velari. Sebbene gli scribi accadofoni operarono degli adattamenti nel cuneiforme sumerico, nei suoi principi organizzativi il sistema di scrittura rimase fortemente conservativo nel corso dei millenni, e questo grazie al peso non indifferente esercitato sugli scribi accadici dalle scuole scribali, dall’educazione scolastica degli scribi e dal prestigio della lingua e letteratura in cui si era espressa la civiltà dei Sumeri.


Peculiarità  del cuneiforme accadico

Il cuneiforme accadico si presenta come un sistema misto sillabico-logografico. Un segno cuneiforme può rappresentare una sillaba o parte di una sillaba; un’intera parola; un determinativo o classificatore semantico. I segni che rappresentano sillabe sono detti sillabogrammi. Quelli che rappresentano parole sono chiamati logogrammi. I logogrammi sono grafemi per parole sumeriche adottati dagli scribi accadofoni per rendere parole della loro lingua. Dal momento che i logogrammi in uso nel cuneiforme accadico sono antiche parole sumeriche si usa indicarli anche con il termine di sumerogrammi. Il logogramma era quindi letto dagli accadofoni con la corrispondente parola accadica (ad es. sumerico LUGAL = accadico šarrum, “re”). Per aiutarsi nella lettura di questi grafemi spesso gli scribi aggiungevano al logogramma un grafema usato come complemento fonetico. Il complemento fonetico poteva rappresentare una sillaba iniziale o finale della corrispondente parola accadica (ad es. KUR-u = šadû, “montagna”; KUR-ud = ikšud, “egli conquistò”). Inoltre, esso poteva anche essere apposto a parole scritte foneticamente, per facilitare la lettura di determinati segni sillabici (ad es. ak-šudud, "io conquistai"). In virtù del principio sillabico-logografico della scrittura, ogni parola accadica poteva essere resa con una sequenza di sillabogrammi (ad es. išātum, “fuoco”, scritto come i-ša-tum o i-ša-tu-um) oppure con un logogramma semanticamente corrispondente alla parola accadica (ad es. IZI, in luogo di išātum, “fuoco”). Caratteristiche che governano il sistema cuneiforme sono l’omofonia e la polifonia: si ha omofonia quando uno stesso suono può essere rappresentato da grafemi diversi; si ha polifonia quando uno stesso segno può indicare diverse sequenze di suoni (ad es. il segno ad vale anche per at e aṭ). Queste diverse sequenze di suoni sono dette valori fonetici (ad es. il segno UD può essere letto sia con il valore ud che come tam, pir, par, laš, liš, šiš, ). Per convenzione, i grafemi omofoni sono distinti in traslitterazione con accenti e numeri in pedice secondo il seguente ordine: il segno più frequentemente usato non presenta segni diacritici (ad es. du), mentre il secondo e terzo sono marcati rispettivamente con accento acuto e grave sulla vocale (, ). Infine, gli altri grafemi sono marcati con numeri in pedice (du3, du6, du7, du8, du10, du11).

Tuttavia, non tutti i valori attestati per un determinato segno erano usati in ogni epoca storica dell’accadico e in ogni area dove questa lingua era parlata e scritta. Benchè il cuneiforme sia stato mutuato dagli scribi accadofoni dal precedente sistema di scrittura sumerica, nei suoi tremila anni di vita questa scrittura conosce diverse fasi evolutive che si realizzano in adattamenti ad opera di tradizioni scribali locali soprattutto nel senso di una semplificazione grafica e di orientamento dei segni in uso. La polifonia dei segni, tuttavia, crebbe, in quanto ai valori logografici e fonetici ereditati dal cuneiforme sumerico gli scribi accadici ne aggiunsero di nuovi, basati sulla propria lingua. Di fatto rimase un sistema di scrittura complesso, appannaggio dei soli ambienti scribali. Nonostante la massiccia influenza esercitata dal dialetto e dall’ortografia babilonese sull’ambiente scribale assiro, in Assiria si sviluppa una tradizione ortografica locale con diversi punti di contatto con quella babilonese, ma anche con notevoli differenze nella resa dei segni. Inoltre, all’interno di una stessa tradizione ortografica potevano coesistere anche diverse varianti grafiche per uno stesso segno. Queste varianti sono riconducibili a diversi fattori: l’esistenza di stili di scrittura determinati dai diversi supporti usati per scrivere, come nel caso dello stile lapidario (su monumenti in pietra) e di quello corsivo (su tavolette d’argilla); il prestigio di forme ortografiche arcaiche apprese dai testi antichi su cui si esercitavano gli scribi; il livello di educazione scolastica e lo stile personale dello scriba di turno.


Decifrazione del cuneiforme accadico

La storia della decifrazione del cuneiforme accadico, avvenuta nel corso del diciannovesimo secolo, è strettamente legata a quella della decifrazione del cuneiforme persiano. Il persiano costituiva, assieme all’accadico e all’elamico, una delle tre scritture attestate nelle iscrizioni rinvenute in siti del territorio corrispondente all’antica Persia (Iran). Le prime descrizioni di caratteri della scrittura cuneiforme che i viaggiatori europei osservavano presso le rovine di Persepoli erano note in Europa già nel Seicento, grazie alle testimonianze di Garcia de Silva y Figueroa, Thomas Herbert e dell’italiano Pietro della Valle. In particolare, il nobile romano Pietro della Valle, in una lettera del 1621 inviata ad un amico fiorentino da Shiraz, accluderà alla descrizione di quanto osservato sul sito di Persepoli, anche la riproduzione di cinque segni della misteriosa scrittura. Ma è principalmente con l’opera rigorosa dell’esploratore danese Carsten Niebuhr (1733 - 1815) che si hanno le prime copie accurate di iscrizioni cuneiformi osservate a Persepoli e dintorni. Niebuhr contribuì a porre le prime solide basi teoriche allo studio del cuneiforme: egli confermò la direzione della scrittura da sinistra a destra e distinse tre diversi tipi di scrittura, isolando i caratteri semplici da quelli più complessi.

Il nome della scrittura di cui si iniziava solo allora a indagarne il complesso codice si deve invece ad uno studioso, Thomas Hyde, che negava ai misteriosi segni lo statuto di scrittura; costui coniò il nome “cuneiforme” (dactuli pyramidales seu cuneiformes) dalla particolare forma a cunei dei segni. Dalle conclusioni di Niebuhr prende le mosse il tedesco Georg Friedrich Grotefend (1775-1853), che diede la prima parziale decifrazione dell’antico-persiano, compiuta identificando i gruppi di segni corrispondenti ai nomi dei re achemenidi Istaspe, Dario e Serse. I risultati conclusivi verso la completa decifrazione dell’antico-persiano furono invece compiuti dai contemporanei Rasmus Rask (1787 - 1832), Eugene Burnouf (1801 - 1852), Christian Lassen (1800 - 1876) e dell’ecclesiastico irlandese Edward Hincks (1792 - 1866). Agli stessi risultati di Grotefend arrivò in maniera indipendente anche il maggiore inglese Henry Creswicke Rawlinson (1810 - 1895), il quale, nel corso di una serie di spedizioni tra il 1836 e il 1847, riuscì a realizzare, non senza difficoltà, una copia della monumentale iscrizione trilingue di Dario a Behistun (Iran occidentale) e ad eseguire la decifrazione di parte del testo persiano, arrivando a pubblicare una sua traduzione del testo nel 1846. La definitiva comprensione del testo in antico-persiano schiudeva ora la strada alla decifrazione delle altre due scritture cuneiformi in cui era scritta l’iscrizione di Dario a Behistun e che duplicavano la versione persiana in elamico e babilonese. Il testo accadico si rivelò all’esame degli studiosi il più complesso tra i tre. La sua scrittura cuneiforme si componeva di caratteri di gran lunga più numerosi sia di quelli della versione antico-persiana che di quelli presenti nella versione elamica. Infatti, mentre il cuneiforme persiano consta di soli 42 grafemi, quello elamico si compone di 131 sillabogrammi e 25 logogrammi. La decifrazione della scrittura elamica, la cui lingua rimane per certi versi ancora oscura, avvenne per opera di Grotefend e soprattutto di Edwin Norris (1795 - 1872), che nel 1852 pubblica i suoi risultati in una monumentale edizione commentata della versione elamica.

Benchè fosse la più complessa, la decifrazione del cuneiforme babilonese e la comprensione della versione dell’iscrizione di Dario in accadico sarebbero stati favoriti dal confronto con i numerosi testi in cuneiforme babilonese che erano stati rinvenuti in precedenti scavi e con le tavolette assire che proprio in quegli anni Austen Henry Layard portava alla luce a Nimrud e a Quyunjik (Iraq settentrionale). Le varie fasi del processo di decifrazione del cuneiforme accadico avvennero nell’arco di dodici anni. Edward Hincks, attivo sin dai primi tempi nell’opera di decifrazione del cuneiforme, diede un contributo fondamentale anche nel campo dell’identificazione del cuneiforme accadico e della lingua che in questa scrittura era registrata. Hincks riconobbe che la lingua in questione era imparentata con altre lingue del gruppo semitico, conclusioni alle quali era giunto già lo svedese Isidore de Löwenstern (1807 - 1856). Inoltre, dall’esame comparativo di alcune occorrenze di nomi, parole e frasi in diverse copie degli stessi testi accadici gli fu possibile comprendere il funzionamento del sistema sillabico dell’accadico e di come le stesse occorrenze potessero essere alternativamente espresse in forme logografiche. Il fatto che molti caratteri del cuneiforme accadico avessero più di un valore fonetico indusse Hincks a ritenere che questa scrittura non fosse funzionale ad una lingua semitica quali erano l’assiro e il babilonese, ma ad una diversa realtà linguistica. Tra gli specialisti regnava tuttavia ancora molta diffidenza sulla possibilità di poter realmente comprendere il cuneiforme. La conferma dell’avvenuta decifrazione del cuneiforme accadico si ebbe con la celebre “translation competition” con la quale la Royal Asiatic Society di Londra, per impulso di W. H. Fox Talbot (1800 - 1877), invitava Rawlinson, Hincks, lo stesso Talbot ed il francese Jules Oppert (1825 - 1905) a cimentarsi ciascuno nella traduzione di una stessa iscrizione. Il testo che fu scelto per questa prova fu un’iscrizione del sovrano assiro Tiglatpileser I (1114 - 1076 a.C.), scritta su un prisma d’argilla. Le quattro traduzioni autonome, sottoposte al giudizio di una commissione imparziale, si rivelarono ad un attento esame dei giudici sostanzialmente convergenti. Così, nel 1857 veniva definitivamente e solennemente decretata l’avvenuta decifrazione del cuneiforme accadico.


Supporti

Pietra

La pietra in Mesopotamia è il supporto privilegiato per le iscrizioni monumentali e dedicatorie. Anche molti oggetti iscritti erano in pietra, specialmente in pietre semipreziose, come nel caso dei sigilli cilindrici. Tuttavia, a differenza di altre realtà ecologiche del Vicino Oriente antico, la Mesopotamia era priva di pietra. Questo prezioso materiale doveva perciò essere importato da regioni anche molto distanti. Iscrizioni reali di vario formato e contenuto sono iscritte su supporti in pietra, principalmente statue, stele, obelischi. Due celebri esempi di stele iscritte in cuneiforme accadico sono la stele del sovrano di Akkad Naram-Sin (2254 - 2218 a.C.), in arenaria rosa, su cui è incisa un’iscrizione reale a corredo della scena di trionfo bellico del re e delle sue truppe, e la stele in diorite del cosiddetto “codice di leggi” di Hammurapi (1792 - 1750 a.C.), sovrano della prima dinastia babilonese, sul cui vertice campeggiano la figura del re e quella del dio della giustizia Šamaš, mentre sulla maggior parte della superficie del blocco di pietra è registrata la sua raccolta di leggi.

Nell’Assiria del I millennio a.C. grande fortuna avranno le iscrizioni reali incise sui pannelli figurativi in pietra lungo le pareti dei palazzi reali e su stele. L’esistenza di tavolette d’argilla contenenti lo stesso testo di alcune epigrafi che decoravano i rilievi parietali dei palazzi assiri si rivela molto utile per comprendere come operasse il lapicida. In queste tavolette, vi sono epigrafi che omettono i nomi, lasciando uno spazio vuoto. Il nome doveva perciò essere inserito nell’epigrafe scolpita sul rilievo. Lo spazio che veniva lasciato libero nella scena del rilievo era naturalmente limitato e il lapicida era tenuto a valutare la quantità di segni di scrittura per riga. La scrittura cuneiforme si rivela particolarmente adattabile a problemi di spazio proprio per le peculiarità del sistema misto sillabico-logografico: ad esempio, in caso di spazio limitato alla fine della riga di un cartiglio, la parola, anzichè essere scritta con una normale sequenza di sillabogrammi, poteva essere sostituita con la corrispondente variante logografica.

Un altro supporto per le iscrizioni reali assire è rappresentato dalla stele. In età neo-assira (IX-VII secolo a.C.), alla stele di fondazione tradizionale, destinata ad essere sepolta nelle fondamenta dell’edificio, si affianca un tipo di stele iscritta con raffigurazione del sovrano che viene ora preferibilmente collocata all’esterno dell’edificio. Stele iscritte potevano anche essere scolpite su inaccessibili pareti rupestri. Si pensi, ad esempio, alla stele di vittoria di Tiglatpileser III a Mila Mergi, scolpita su uno sperone roccioso verticale a Dohuk-Zakho (nord Iraq) o a quella che commemora la campagna di Sargon II contro Karalla a Tang-i Var, a 85 km da Kermanshah (Iran occidentale), scolpita su una parete del monte Kūh-i Zīnāneh, a 40 metri dal suolo.

In Babilonia, un tipico monumento iscritto è la pietra kudurru, comunemente interpretato come cippo confinario per via della sua forma e della designazione babilonese usata per indicarlo. I kudurru, che sono caratteristici del periodo della dominazione cassita (XV-XII sec. a.C.) e che continuano ad essere utilizzati fino all’età neo-babilonese (VII sec. a.C.), sono monumenti litici di forma irregolarmente cilindrica, la cui superficie risulta in parte scolpita a rilievo con simboli astrali e divini e in parte iscritta con copie di decreti regi che regolano donazioni di terre o esenzioni fiscali a beneficio di città o ufficiali. La scrittura cuneiforme accadica di tipo monumentale esibisce uno stile lapidario, spesso caratterizzato da tratti arcaizzanti, che si distingue, a volte notevolmente, rispetto allo stile usato nella coeva documentazione su argilla.

Tavolette

Il principale supporto per la scrittura cuneiforme è la tavoletta d’argilla. La grande disponibilità di questo materiale nella terra dei due fiumi ha favorito la fortuna della tavoletta d’argilla come supporto di scrittura più comune. Una delle competenze di base che si richiedevano allo scriba era quella di sapere modellare l’argilla in forma di tavoletta o altro supporto di scrittura. Non tutte le tavolette erano infatti delle stesse dimensioni, spessore e forma e la scelta del formato dipendeva strettamente dal tipo di documento che si intendeva scrivere. Generalmente, la tavoletta presenta un lato piano (recto) ed uno leggermente convesso (verso). Le dimensioni delle tavolette sono le più variabili, ma il tipo di tavoletta più comune era quello che poteva essere agevolmente tenuto nel palmo della mano. Le forme attestate sono anch’esse di diverso tipo e comprendono, assieme alle più diffuse tavolette rettangolari, anche tavolette circolari.

Una volta inciso il testo sulla superficie ancora umida della tavoletta mediante uno stilo di canna di palude, il supporto d’argilla veniva lasciato ad essiccare o cotto in forno. Il procedimento conservativo mediante cottura garantiva alla tavoletta una maggiore durevolezza e resistenza. Il testo poteva essere inciso, oltre che su uno o su entrambi i lati della tavoletta d’argilla, anche lungo i margini della stessa. Nel caso di lettere e documenti legali, la tavoletta su cui era stato inciso il testo veniva racchiusa in un involucro, anch’esso d’argilla, su cui venivano riportati i nomi del mittente e del destinatario e dettagli relativi al contenuto del documento legale racchiuso al suo interno. Con l’argilla venivano modellati anche altri supporti di scrittura, quali i prismi a sei o a più facce, i cilindri o barilotti, i coni, i mattoni, che erano tutti usati per le iscrizioni reali e che venivano sepolti nelle fondamenta degli edifici o murati nella loro struttura.

Ma anche su altri supporti si tenderà a riprodurre il ductus cuneiforme delle tavolette d’argilla. Altri supporti di scrittura utilizzati dagli scribi erano costituiti sia da materiali durevoli che consutili. Qualsiasi superficie materiale poteva potenzialmente essere iscritta in cuneiforme. Le iscrizioni celebrative e dedicatorie potevano essere incise su pietra (tavolette in pietra, rilievi parietali, statue, obelischi, stele), metallo (tavolette e altri manufatti in metallo) e su un’ampia varietà di oggetti (vasi, gioielli, amuleti, armi, ecc.). Fonti testuali e iconografiche testimoniano anche l’uso di supporti deperibili, quali le tavolette con intelaiatura in legno o avorio e superficie per la scrittura in cera, rotoli di pelle o di papiro. Di supporti in pelle e papiro non è rimasta alcuna traccia che sia documentabile a livello archeologico, mentre possediamo alcuni esemplari di tavolette con intelaiatura in avorio provenienti da Assur Assur (Qal‘at Sherqaṭ) e Kalhu (Nimrud). Questo tipo di tavoletta, in uso dall’età di Ur III fino alla tarda età babilonese, era utilizzata per finalità di registrazione amministrativa e per testi letterari. Entro l’intelaiatura in legno o avorio veniva steso un sottile strato di cera. Queste tavolette potevano essere unite le une alle altre con l’ausilio di cerniere fino a formare una sorta di quaderno che si apriva e piegava a fisarmonica. La scelta di questo tipo di supporto di scrittura sia da parte degli scribi dell’amministrazione statale che di quelli che operavano nelle biblioteche era certamente dovuto alla malleabilità del materiale su cui erano incisi i testi, la cera appunto, che non necessitava di asciugatura come l’argilla delle tavolette e che permetteva agli scribi di intervenire facilmente su quanto scritto apportando cancellature e correzioni. L’estrema malleabilità della cera permetteva il continuo riuso della superficie scrittoria per nuovi testi e ne faceva il supporto ideale per la composizione preliminare di testi che, una volta completati nella versione definitiva, sarebbero stati poi trascritti su argilla.

La diffusione dell’aramaico nell’Assiria di VIII-VII secolo a.C. determina l’adozione dell’aramaico in scrittura alfabetica anche da parte dell’amministrazione centrale dello stato assiro. Dall’evidenza di natura iconografica (rilievi palatini) si ricava che l’aramaico era scritto mediante stilo su supporto morbido e consutile (pelle o papiro), ma lo stato bilingue e biculturale della società imperiale assira favorirà anche situazioni di reciproco scambio tra le due tradizioni scrittorie, quella aramaica in scrittura alfabetica e quella cuneiforme assira, come ben dimostrano gli esempi di tavolette in argilla incise in caratteri alfabetici aramaici anziché in segni cuneiformi assiri. Infine, la superficie della tavoletta e del suo involucro esterno potevano recare un’impressione di sigillo o di un’unghia. Questa pratica è comune in documenti di natura legale.

Ceramica

Nel mondo mesopotamico, sulla superficie dei recipienti ceramici, ad esempio quelli di grandi dimensioni collocati in magazzini palatini e templari, poteva essere incisa in scrittura cuneiforme la notazione metrologica relativa alla capacità dei vasi o la loro proprietà.

Inchiostri

Il cuneiforme poteva essere scritto sulle tavolette d’argilla non solo tramite impressione con uno stilo di canna, ma anche con inchiostro, presumibilmente con l’ausilio di appositi pennelli o penne dalla punta fine, ma di questo tipo di scrittura cuneiforme restano pochissime testimonianze. Un rapporto astrologico del regno di Assurbanipal (668-631? a.C.) mostra tracce di un colofone con caratteri cuneiformi scritti con inchiostro. Altri esempi neo-assiri di cuneiforme scritto con pennelli possono essere osservati sui frammenti di lastre dipinte e invetriate da Assur come pure sui resti di pittura murale da Til Barsip (Tell Ahmar).


Strumenti

Stilo di canna mesopotamico

Lo stilo usato dagli scribi mesopotamici era costituito da un pezzo di canna di palude con una estremità appuntita e tagliata a becco, in modo tale che la base triangolare permettesse di imprimere una forma di piccolo triangolo o cuneo sulla superficie umida della tavoletta d’argilla. Questo stilo è chiamato in babilonese qan ṭuppi (letteralmente: “canna della tavoletta”). Meno frequente doveva essere l’uso di stili in altro materiale (legno, metallo, osso). Le peculiarità di questo strumento scrittorio determinano così il segno grafico cuneiforme, limitando il tracciato dei segni alle sole forme lineari (segni orizzontali, verticali, diagonali) e pregiudicando la possibilità di uno sviluppo curvilineo. Il modo in cui la punta dello stilo di canna era stato tagliato influiva grandemente sullo stile di scrittura. Lo stilo poteva presentare un’estremità più o meno arrotondata, piatta o appuntita. Per scrivere, lo scriba imprimeva i segni tenendo lo stilo in senso obliquo sull’argilla.

Oltre che per scrivere, lo stilo era utilizzato dallo scriba anche per ripartire lo spazio di testo sulla superficie della tavoletta d’argilla secondo le regole del formato di testo prescelto. In numerose tavolette (ad es. liste lessicali, registri amministrativi) lo spazio di testo appare organizzato in linee e colonne. Inoltre, molte tavolette di testi letterari presentano dei fori impressi sulla superficie. Le finalità di questi fori, certamente praticati con lo stesso stilo usato per scrivere, non sono chiare, ma è certo che a partire dall’età medio-babilonese e medio-assira questa pratica divenne comune nella redazione di testi di contenuto letterario. In tavolette babilonesi e assire del primo millennio a.C. lo stilo era anche usato per apporre brevi commenti o dettagli sul contenuto del documento in aramaico alfabetico.

I limitati esempi di uso di inchiostro per la scrittura cuneiforme su tavoletta d’argilla sarebbero invece una testimonianza indiretta dell’uso di pennelli. Sulla superficie cerata delle tavolette in legno o avorio il cuneiforme si scriveva probabilmente con uno stilo in metallo o legno, ma non si esclude che anche il comune stilo di canna fosse usato.

Per cancellare

La cancellatura della scrittura cuneiforme sulla tavoletta d’argilla poteva avvenire con lo sfregamento delle dita sulla parte di testo che si intendeva eliminare, sovrascrivendovi il nuovo testo. La parte di testo da correggere poteva essere ulteriormente umidificata per facilitarne la correzione. In ogni caso, la chiarezza delle correzioni apportate dallo scriba dipendeva dalla caratteristiche di consistenza ed elasticità dell’argilla usata.